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La strage di Piazzale Loreto a Milano – 10 Agosto 1944

La strage di Piazzale Loreto fu un eccidio avvenuto in Italia, il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano, durante la seconda guerra mondiale.

Quindici partigiani furono fucilati da militi del gruppo Oberdan della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti della RSI, per ordine del comando di sicurezza nazista, e i loro cadaveri vennero esposti al pubblico.

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Cosi raccontò questa vicenda il Comandante Partigiano medaglia d’oro al valor militare Giovanni Pesce nel libro “Senza tregua” edito da Feltrinelli.

“Queste idee mi ronzano in testa la mattina del 10 agosto durante la mia sortita quotidiana. Ho sete almeno di notizie ufficiali, in assenza di quelle saltuarie fornitemi dalle staffette del comando. L’ombra degli alberi che proteggono Viale Romagna dal sole mi conduce all’edicola. Ho fra le mani un giornale e sotto gli occhi il comunicato della fucilazione di Piazzale Loreto.

Quindici ostaggi uccisi. Scorrendo febbrilmente l’elenco trovo il nome di Temolo, il capo della cellula della Pirelli, uno dei piú coraggiosi, dei piú bravi. Anche lui c’è cascato.

Da viale Romagna si raggiunge Piazzale Loreto lungo un rettilineo fino in via Porpora e si svolta a sinistra. Dappertutto cordoni di repubblichini: militi dietro militi, sempre piú fitti, sempre piú lugubri. In Piazzale Loreto una folla sconvolta e sbigottita. Si respira ancora l’odore acre della polvere da sparo. I corpi massacrati sono quasi irriconoscibili. I briganti neri, pallidi, nervosi, torturano il fucile mitragliatore ancora caldo, parlano ad alta voce, eccitatissimi per aver sparato l’intero caricatore.

Sbarbatelli feroci, vicino a delinquenti della vecchia guardia avvezzi al sangue ed ai massacri, ostentano un atteggiamento di sfida, volgendo le spalle alle vittime, il ceffo alla folla. Ad un tratto irrompe un plotone di repubblichini, facendosi largo a spinte, a colpi di calcio di fucile e andando a schierarsi vicino ai caduti.

“Via via, circolate,” urlano. Spontaneamente il popolo è accorso verso i suoi morti. Ora la folla, ricacciata, viene premuta fra i cordoni dei tedeschi e dei fascisti. Urla di donne, fischi, imprecazioni.

“La pagheranno!”

I repubblichini, impauriti, puntano i mitra sulla folla.

Dall’angolo della piazza scorgo lo schieramento fascista accanto ai nostri morti. Potrei sparare agevolmente se i fascisti aprissero il fuoco. In quel momento, fendendo la calca, si fa largo una donna: avanza tranquilla, tenendo alto un mazzo di fiori; raggiunge le prime file, vicino al cordone dei repubblichini, come se non vedesse le facce livide e sbigottite degli assassini; percorre adagio gli ultimi passi. Scorgo da lontano quella scena incredibile, un volto mite incorniciato da capelli bianchi, un mazzo di fiori che sfila davanti alle canne agitate dei fucili mitragliatori. I fascisti rimangono annichiliti da quella sfida inerme, dall’improvviso silenzio della folla. La donna si china, depone i fiori, poi si lascia inghiottire dalla folla. Comincia così un corteo muto, nato come da un improvviso accordo senza parole.

Altre donne giungono con altri fiori passando davanti ai militi per deporli vicino ai caduti. Chi ha le mani vuote si ferma un attimo vicino alle salme mar-toriate. Per ogni mazzo di fiori ci sono cento persone che sostano riverenti.

Si odono distintamente i rumori attutiti dei passi e si colgono i timbri alti delle voci. Accanto a me uno bisbiglia: “vede quello lì sulla sinistra? Tentava di scappare. Appena era sceso dal camion si era diretto di corsa verso una via laterale. Credevamo che ce l’avrebbe fatta. Era già lontano. L’hanno riportato indietro che zoppicava, ferito ad una gamba. L’hanno spinto accanto agli altri, già schierati, in attesa.”

L’ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente. Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte.

Loro ridono. Hanno appena ucciso 15 uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà. I cordoni di repubblichini sono sempre fitti. Ad ogni passaggio, ad ogni posto di blocco, mi imbatto nella loro insolenza, nella loro spavalda vigliaccheria: mitra ostentati, bombe a mano al cinturone, facce feroci, lugubri camicie nere.

Ancora una volta, come in Spagna di fronte alla spietata ferocia degli ufficialetti nazisti, si rivelano i due mondi in antitesi, i due modi opposti di concepire la vita.

Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e ad uccidere. Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l’assassinio “un esempio.”

La belva ormai incalzata da ogni parte, si difende col terrore”.

Fonte

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10-02-2020 “Giorno del Ricordo”

                                                                                                                                                                        IMG-20200207-WA0003Negazionismo e revisionismo oltre ad essere inaccettabili e vergognose sono paradossali. Siamo al ribaltamento della realtà. L’unica vera operazione di revisionismo, in corso ormai da anni, è la strumentalizzazione del “Giorno del Ricordo”. Questa sì è un’operazione revisionista, sponsorizzata dalle forze di estrema destra in Italia.

 

Nel periodo del Giorno del Ricordo, tutti gli anni, viene fatta una lettura parziale e ideologicamente orientata della storia. Non si può parlare del dramma delle foibe senza inserirlo nel contesto storico.

Carlo Azeglio Ciampi, il presidente della Repubblica che promulgò la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, nel 2005 emise un comunicato nel quale rivolse il proprio pensiero “a coloro che perirono in condizioni atroci nelle Foibe (…) alle sofferenze di quanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case in Istria e Dalmazia”, aggiungendo: “Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi totalitari responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono”.

Comprendere la storia e i drammi del ‘900, respingere ogni tentativo di legittimazione del fascismo e della sua propaganda, ricordandone i crimini spesso taciuti.

Noi ricordiamo tutto: l’occupazione fascista dei territori istriani ed ex-jugoslavi, la ventennale dittatura, le politiche coloniali con cui si costrinsero le popolazioni a processi di italianizzazione forzata, l’odio razziale, le esecuzioni sommarie, gli incendi di interi villaggi, le operazioni squadriste, i campi di concentramento fascisti.

Mentre ogni anno si parla solo di foibe, in pochi in Italia, hanno mai sentito parlare, ad esempio, del campo di concentramento di Rab, oggi località turistica, ma 70 anni fa lager fascista nel quale persero la vita migliaia di civili jugoslavi, bambini compresi.

Non cedere ad una ricostruzione parziale ma contribuire a far conoscere ad un vasto pubblico le atrocità commesse dai fascisti italiani in Ex-Jugoslavia è il nostro obiettivo.

Guerra, violenza e morte seminate dal fascismo in tutta Europa non possono essere rimosse con un colpo di spugna, con i libri di Pansa o con i giorni del ricordo parziale.

A supporto di queste considerazioni, invitiamo all’approfondimento della complessa vicenda istriana e jugoslava e alla visione, tra i tanti materiali disponibili anche online, del documentario “Fascist Legacy” realizzato qualche anno fa dalla BBC, un utile contributo per non cadere nelle semplificazioni e nelle forzature revisioniste che l’estrema destra porta avanti da anni.

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 Bambini e un adulto prigionieri nel campo di concentramento fascista sull’isola di Rab (Croazia)

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Ricordi di guerra

Affori bombardada

Affori dopo un bombardadamento

Sono nato ad AFFORI nel lontano 1934 in pieno regime fascista e quindi obbligato, come tutti, ad osservare le regole dettate dalla dittatura fascista di Benito Mussolini, colui che si faceva chiamare “il DUCE”.

Su quasi tutte le facciate laterali delle case vi era scritto a grandi lettere : “DUCE DUCE DUCE” oppure “TACI IL NEMICO TI ASCOLTA” o ancora ”VINCERE VINCERE VINCEREMO” e poi ancora altre scritte, sempre sulle facciate , come l’emblema del fascio con sotto la scritta : EIA EIA ALALA’”.

Quando incontravi qualcuno di loro in divisa e camicia nera dovevi salutarlo alzando il braccio destro nel saluto fascista oppure se incontravi per strada un prete era consigliato salutarlo dicendo “SIA LODATO GESU’ CRISTO”.

Come già avete intuito, la libertà di pensiero e di stampa erano una cosa aliena, inesistente, vietatissima.

A scuola, fin dalla prima elementare, al sabato mattina era d’OBBLIGO presentarsi al raduno di tutte le classi in viale AFFORI, dove aveva sede il fascio, con grembiule nero, fazzoletto azzurro al collo e in spalla un moschetto di legno . Si doveva marciare avanti e indietro per tutto il viale e quando si passava davanti alla sede fascista si doveva urlare “DUCE DUCE DUCE” alzando il braccio destro nel solito saluto fascista. Anche le bambine dovevano partecipare alla parata indossando un grembiule bianco e foulard azzurro. Nessuno doveva mancare, pena olio di ricino da bere per i genitori.

Il giorno del sabato era considerato “sabato fascista” e quindi anche gli adulti avevano i loro obblighi da rispettare nei confronti del regime. In terza elementare era d’uso mandare i bambini in colonia, sul lago, lontani dai bombardamenti. Naturalmente tra quei bambini c’ero anch’io. Però dopo una settimana vennero a prendermi mia mamma e mio zio Franco. Il motivo era che “ERO STATO ESPULSO PERCHE’ FIGLIO DI UN TRADITORE DELLA PATRIA”; mio papà era fuggito dall’esercito perché non voleva combattere una guerra per il fascismo.

SCHIAVITU’

Mio papà , mio nonno e i miei zii vendevano legna e carbone. Avevano due cavalli tra cui “la Marona”, chiamata così per via del colore marrone del suo mantello, ed era la mia preferita. Entrambi i cavalli venivano adibiti per il trasporto del carbone ma non potevano essere mai usati insieme e se ne nascondeva sempre uno nella “sciustra”, che era la legnaia dove erano immagazzinati la legna e il carbone, perché altrimenti i fascisti, se vedevano due cavalli, se ne sarebbero subito preso uno in quanto dicevano che “sarebbe servito all’esercito”.

Poi un brutto momento mio papà fu di nuovo chiamato alle armi. Lui naturalmente non si presentò e i Carabinieri di AFFORI lo cercarono, lo trovarono e lo arrestarono. Lo portarono quindi a Genova per imbarcarlo per l’AFRICA, dove la guerra per l’impero lo attendeva. Ma lui e molti altri soldati riuscirono a fuggire prima di partire. Mio padre non aveva un luogo sicuro dove nascondersi e per questo scelse la “sciustra”, già usata per nascondere i cavalli, pensando così di essere al sicuro. Ma dopo alcuni giorni venne scoperto sempre dai Carabinieri. Venne imbarcato con la forza con destinazione il suolo africano, chiamato dai fascisti “BEL SUOL D’AMORE” o anche “AFRICA ORIENTALE ITALIANA” (fascismo e nazismo si sentivano padroni e conquistatori del mondo).

Dopo un anno in AFRICA un migliaio di soldati, tra cui mio papà, furono di nuovo ricondotti in ITALIA per essere trasferiti a combattere in JUGOSLAVIA e GRECIA. Cambiava il fronte ma non la guerra. Anche da qui provò a fuggire, lui non voleva fare la guerra, ma fu nuovamente scoperto e finì rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore, questa volta in attesa di essere deportato in un lager tedesco.

Una notte, mentre attendeva il suo triste destino, avvenne un terrificante bombardamento su Milano. Alcune bombe sganciate dagli alleati caddero sul carcere devastando i muri della struttura e questo provocò un fuggi fuggi generale. Anche mio papà riusci a fuggire e questa volta si unì ai partigiani e non fu mai più ripreso (ma era vita questa?).

COME SI VIVEVA

Durante la guerra esisteva il coprifuoco, voluto dai nazifascisti, che serviva a controllare la popolazione. Cominciava alle sette di sera e terminava alle sei del mattino . Dopo le ventuno non potevi più trovarti in strada e se venivi sorpreso ti arrestavano e venivi immediatamente spedito in Germania.

Distribuzione del rancio alle vittime del bombardamento ad AFFORI

Distribuzione del rancio alle vittime del bombardamento ad AFFORI

Per non dare modo agli aerei ricognitori degli alleati di individuare i luoghi dove c’erano i militari e la popolazione, le finestre delle case dovevano essere protette dalla carta blu e cosi anche i fari delle macchine e le lucine dei carri trainati dai cavalli, allora molto più numerosi delle autovetture. La carta filtrava la luce diretta impedendo di essere vista da lontano. Anche le luci dei lampioni, quei pochi che c’erano, erano rigorosamente spente. Se accendevi la radio era vietatissimo ascoltare radio LONDRA, la voce del nemico del fascismo. Se in casa, durante una qualsiasi ispezione che poteva capitare a chiunque e senza preavviso nè motivo alcuno, ti trovavano lardo, burro, carne, ti veniva tutto sequestrato e fatto bere un buon bicchiere di olio di ricino” per punizione.

Chi possedeva una bicicletta ed aveva il copertone logorato dall’uso, era solito ripararlo con una corda o con pezzi di stoffa perché non c’era altro. Sappiate però che le migliori biciclette venivano sequestrate dagli squadristi in camicia nera per loro uso e consumo. Era un abuso ed un sopruso come tanti altri che commettevano i fascisti. Dopo i primi anni di guerra, tutti, nessuno escluso, dovevano donare le loro fedi d’oro per la patria. Venne inoltre l’obbligo di togliere tutte le inferriate dai muri di cinta compresi i cancelli perché il ferro serviva per fare le armi all’esercito. Ogni materia prima doveva obbligatoriamente essere consegnata alle autorità fasciste.

Spesso per le strade di Affori passavano truppe tedesche che era pericolosissimo incrociare. In particolare, se avevi più di quindici anni, potevi già servire all’esercito e rischiavi di essere arruolato forzatamente. Comunque, se ti fermavano, nella migliore delle ipotesi rischiavi di venire sottoposto ad un lunghissimo interrogatorio.

I BOMBARDAMENTI

Due fischi era preallarme, tre fischi allarme rosso e si correva tutti in cantina. Si scendeva velocemente nei sotterranei sperando poi di rimanerci senza essere sepolto e di uscirne vivo. I bombardamenti li facevano le truppe alleate e duravano anche oltre due ore, un tempo infinito che eri costretto a passare nei rifugi al buio, vicino alla gente che pregava, ai bambini come me che urlavano dalla paura e alle pareti e ai pavimenti che tremavano e ballavano per le forti e continue scosse provocate delle bombe.

Oltre quelle che cadevano dal cielo, anche la contraerea tedesca (dodici cannoni in via Bovisasca e via Assietta) facevano tremare la terra e provocavano rumori assordanti. Che paura, che batticuore, il sangue si stringeva nelle vene, l’ansia ti assaliva il cuore e pregavi, pregavi e speravi.

Quando suonava il cessato allarme ed uscivi dal rifugio davanti a te si presentava una visione spaventosa, spettrale: incendi, fuochi, calcinacci ovunque, binari divelti, case a pezzi, muri sconquassati, vetri dappertutto, gente che delirava, urla di feriti, bambini che non si riuscivano a calmare (io compreso).

Questo accadeva tutti i giorni e quasi tutte le notti si doveva scappare nei rifugi più vicini e lì provare a dormire, poco e male. Il fuoco delle case distrutte illuminava MILANO come fosse giorno, ma con l’avanzata degli alleati e la presenza dei partigiani il pericolo maggiore, come ho già detto, era quello di incrociare le “SS” tedesche che trovandoti ti avrebbero portato alla stazione centrale, dove un treno merci era sempre pronto per Dachau o un altro campo di concentramento.

CHE FAME !

Con la tessera annonaria andavi a fare la spesa dal negoziante che tu avevi scelto in precedenza : il pane era molto scarso e non certo bianco come quello che si mangia oggi; la carne pochissima e una sola volta la settimana; l’olio di semi una volta al mese in dose misuratissima; il condimento principale era la margarina oppure lo strutto.

Il burro e il lardo non esistevano e potevi a volte comprarlo alla borsa nera (di nascosto) pagandolo un’enormità. Se però venivi scoperto ti aspettava il campo di concentramento. Anche la pasta, come il riso o le patate, erano tutti razionati. Per lenire la fame ero costretto a “saziarmi” di carrube e noccioline. La fame era distruttiva, come la paura dei bombardamenti. Basta pensare che alle volte a tavola rubavo qualche pezzetto di pane a mio papà o a mio nonno perché la fame era una cosa atroce e non ti faceva ragionare; mia mamma alle volte si attaccava alle piante di noci mangiando solo quelle per lasciare un pezzo di pane in più a me.

Fascisti e tedeschi invece si saziavano mentre il popolo moriva di fame.

AGOSTO 1 9 4 3

Al mattino suona l’allarme, ormai si vive in cantina giorno e notte. Quella mattina di agosto due aerei inglesi sorvolavano AFFORI a bassa quota e sganciarono alcune bombe sulla polveriera (dove c’era il deposito di centinaia di bombe dei tedeschi) in via Comasina angolo via Novate. Le esplosioni conseguenti furono tremende, i vetri delle case di AFFORI e BRUZZANO andarono tutti in frantumi, venne subito annunciato di evacuare i due paesi e così io, mia nonna e i miei cugini scappammo nel nostro prato di via Brusuglio alla periferia di Affori, un posto non molto sicuro perché eravamo in mezzo ad un campo, ma almeno non ci arrivavano bombe o macerie in testa.

Ricordo ancora con enorme angoscia che qualche ora dopo una pattuglia tedesca percorreva via Brusuglio e tutti noi, tremando di paura, ci accucciammo dietro un grosso mucchio di fieno riuscendo a non farci vedere.

Le esplosioni non cessavano e le sentivi dentro il tuo corpo mentre ti creavano ansia e tormento. Solo verso sera potemmo fare ritorno a casa e questa volta senza la minima fame, anche se eravamo a digiuno. Tutti avevamo solo una grande voglia di sdraiarci sul letto, ciascuno in preda al proprio terrore. Purtroppo però, nella notte, un altro allarme ci svegliava.

Tutto questo accadeva per una guerra rovinosa e assurda con milioni di morti e tante malattie che gli assassini fascisti hanno provocato al popolo italiano.

25 APRILE

E venne il “25 aprile”. Io abitavo sempre ad AFFORI in via CARLI e gli abitanti alla fine di via ASTESANI, precisamente all’Osteria Nuova, aiutati dai partigiani, iniziarono a costruire barricate con mobili, sedie, materassi e tutto quanto era disponibile, creando cosi una barriera contro i tedeschi. I fascisti, a quel punto, le avevano già prese di santa ragione dai milanesi e dai partigiani ed erano spariti, squagliati come neve al sole. Io ero solo in casa e seguivo ogni movimento dal mio balcone, mentre mia mamma era chiusa in fabbrica. Ad un certo punto, con enorme baccano, avanzava dalla via Comasina verso MILANO una forte squadraccia composta anche da carri armati. Come si avvicinarono alle barricate furono subito assaliti dai nostri partigiani e qui come potete ben immaginare esplose il finimondo , mitragliate in ogni direzione.

Io, osservando appoggiato al balcone, vidi un tedesco sul carro armato puntare un’arma contro la mia casa. Mai più immaginavo il pericolo, ma per la miseria ero un bambino! Ma il tedesco sparò proprio nella mia direzione; sentii proprio il fischio della pallottola sfiorarmi la testa e conficcarsi nel muro sopra la finestra. Rimasi scioccato dallo spavento, caddi steso a terra e vi rimasi più di un’ora finché tutto cessò.

I nostri partigiani, la nostra gente, con il coraggio della disperazione e la voglia di libertà, fermarono i tedeschi e i fascisti che si arresero e furono fatti prigionieri. Purtroppo ci fu spargimento di sangue anche tra i partigiani e a loro va il mio pensiero e la mia riconoscenza.

Quante volte i carabinieri fermavano i bambini per strada chiedendo loro dove fosse il papà e l’unica risposta che ricevevano era “non lo so”. Ma quanto batticuore , quanta paura di non essere creduti.

Forse è meglio fermarsi qui e lasciare che i giovani riflettano, anche perché a molti forse non sembra vero quel che si legge, ma quando uno veniva a trovarsi di fatto in mezzo a queste malvagità, la vita appariva d’improvviso senza futuro. Purtroppo oggigiorno la nostra Costituzione viene messa sotto i piedi da molti politici, altrimenti non sarebbe consentita la formazione di gruppi neo fascisti formati da ragazzi, spesso ragazzini strumentalizzati, che portano la svastica, massimo emblema del nazismo. Ma purtroppo oggi la gente comune non ha più parola, i poveri non sono considerati, i deboli schiacciati sotto i piedi. La politica, quella che ha saputo darci una meravigliosa Costituzione, non esiste più. E questo forse sta preparando l’avanzata di un nuovo fascismo, ancora più duro, ancora più feroce.

Credo sinceramente che sia giunto il momento di ribellarci alla farsa di questa politica prima che ci sorprenda e ci schiacci, come hanno fatto molti nostri padri contro il fascismo.

Tutto quanto descritto non è frutto della mia fantasia ma è quanto realmente ho vissuto e non potrò mai dimenticare.

Alfredo Palazzolo

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