Si tratta non di due tematiche isolate, ma di un complesso di vicende legislative, parlamentari e politiche, che attengono – da sole e nel loro insieme – alla democrazia, cioè al fondamento stesso della nostra società, delle nostre istituzioni e della convivenza civile. In effetti si è rilevato che la democrazia rappresentativa esige il massimo degli spazi per la partecipazione e la rappresentanza dei cittadini; che essi non possono mai
essere sacrificati sull’altare della governabilità; che gli spazi di democrazia non possono essere ridotti se non a danno dell’intero sistema costituzionale e della stessa configurazione democratica del Paese.
Le due riforme in discussione, che riducono entrambe spazi di democrazia e incidendo sulle manifestazioni più rilevanti della sovranità popolare, si inseriscono in un contesto complessivo rivelatore di una concezione della democrazia , che non può che essere contestata e che fin d’ora desta preoccupazioni.
La tendenza che si sta seguendo è quella dell’aumento dei poteri dell’esecutivo, a scapito del Parlamento; ancora di più, è quella di un sistema che restringe anziché incrementare la partecipazione dei cittadini e i poteri delle istituzioni che dovrebbero rappresentarli.
Trentaquattro voti di fiducia in un anno fanno riflettere, perché si risolvono in una restrizione della libertà di discussione in Parlamento e della riduzione in tempi spesso assai stretti (si parla troppo di tempi “contingentati” e di leggi “blindate” !!), del confronto e dalla riflessio nenelle Commissioni ed in Aula.
Lo stesso va detto per la frequenza eccessiva dei decreti legge e soprattutto delle leggi delegate, che dovrebbero corrispondere ai requisiti perentoriamente richiesti dall’art. 76 della Costituzione (“determinazione dei princìpi e criteri direttivi e soltanto per tempi limitati e per oggetti definiti”) e invece assai spesso se ne distaccano. Se la delega è troppo generica e frutto di una discussione limitata, vengono devoluti al Governo poteri eccessivi, in danno del Parlamento e della rappresentanza. Ma questo è accaduto più volte anche su leggi importanti (da ultimo sul “Jobs Act”).
A proposito di quest’ultimo, poi, si è verificato un fatto non meno grave e preoccupante: i licenziamenti collettivi, non espressamente previsti nella legge delega, sono stati inseriti a pieno titolo nei decreti delegati; e ciò contrastando il parere espresso – in modo univoco – da entrambe le Camere, in senso nettamente contrario. E ciò in contrasto con una prassi parlamentare ormai consolidata da tempo, secondo la quale – quando le due Camere esprimono un parere conforme – il Governo deve tenerne conto, anche se il parere – in linea di principio – non sarebbe vincolante.
Ma non basta: in uno dei provvedimenti “riformatori” è stata inserita una norma che attribuisce al Governo la facoltà di incidere sull’agenda dei lavori parlamentari, ove dichiari trattarsi di una priorità.
Infine, tanto per non farsi mancare nulla, anziché accrescere la possibilità di svolgimento dell’iniziativa legislativa popolare, si sono aumentate le firme, rendendo così ulteriormente difficile l’esercizio di un potere espressamente attribuito dalla Costituzione ai cittadini..
In questo contesto, si capisce perché la preoccupazione maggiore, per la legge elettorale, sia stata quella di garantire la governabilità, non consentendo ai cittadini la piena esplicazione del diritto di scegliere i propri rappresentanti ed anzi aumentando in misura assai elevata (secondo i vari conteggi dal 50 al 70% del totale) il numero dei parlamentari che, in pratica, saranno “nominati” dai partiti; e conservando inoltre la possibilità di candidarsi in più collegi e quindi compiere poi scelte che il cittadino dovrà semplicemente subire.
Si capisce anche perché, anziché limitarsi a differenziare le funzioni delle due Camere, si è puntato su una sostanziale “abolizione” del Senato, ridotto – per mancanza di una vera elettività e di sostanziali funzioni – ad un rango accessorio ed ininfluente. Senza che si possa davvero parlare di un “Senato delle autonomie”, perché il semplice esame della normativa dei Paesi che ne dispongono, dimostra quanto sia lontano da quei modelli, il testo piuttosto sgangherato che si sta elaborando.
Ancora una volta, dunque, è la concezione della democrazia ad entrare in gioco. Quella che si manifesta negli esempi fatti più sopra (ma molti altri se ne potrebbero fare) è assai lontana, non solo dalla antichissima concezione degli ateniesi (il governo dei molti e la partecipazione, come nucleo centrale del sistema), ma anche dallo spirito che aleggia non solo nella prima parte della Costituzione, ma anche nella seconda.
E’ dunque questa concezione che va modificata, cosi come occorre che venga finalmente e seriamente “rigenerata” la politica; perché in questo si può ravvisare la madre di tutti le vere riforme e la soluzione del problema assai grave che oggi affligge il nostro Paese: la disaffezione verso la politica, il distacco dalle istituzioni, l’indifferenza e la rassegnazione di tanti (troppi) cittadini.
Carlo Smuraglia da “Anpi new del 24 febbraio/3 marzo 2015”