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Milano, Piazzale Loreto: 10 agosto 1944

Ai martiri di Piazzale Loreto

«Ed era l’alba e dove fu lavoro/ ove il piazzale era la gioia accesa/ della città migrante alle sue luci/ da sera a sera, ove lo stesso strido/ dei tram era saluto al giorno, al fresco/ viso dei vivi, vollero il massacro/ perché Milano avesse alla sua soglia/ confusi tutti in uno stesso sangue/ i suoi figli promessi eil vecchio cuore/ forte e ridesto, stretto come un pugno./ Ebbi il mio cuore ed anche il vostro cuore/ il cuore di mia madre e dei miei figli/ di tutti i vivi uccisi in un istante/ per quei morti mostrati lungo il giorno/ alla luce d’estate, a un temporale/ di nuvole roventi. Attesi il male/ come un fuoco fulmineo, come l’acqua/ scrosciante di vittoria, udii il tuono/ d’un popolo ridesto dalle tombe./ lo vidi il nuovo giorno che a Loreto/ sovra la rossa barricata i morti/ saliranno per primi, ancora in tuta/ e col petto discinto, ancora vivi/ di sangue e di ragione. Ed ogni giorno,/ ogni ora eterna brucia a questo fuoco,/ ogni alba ha il petto offeso da quel piombo/ degli innocenti fulminati al muro.»                (Alfonso Gatto)


La mattina del 10 agosto 1944
, a Milano, quindici tra partigiani e antifascisti vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in Piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi della legione «Ettore Muti» agli ordini del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto.

Erano:
Umberto Fogagnolo, classe 1911, era un accanito avversario del regime fascista. La sua attività clandestina fu intensa e svolta attraverso numerosi discorsi e scritti. Fu tra i primi a dare l’assalto, il 25 luglio 1943, al “covo” di via Paolo da Cannobio. L’8 settembre formò bande di patrioti, organizzò rifornimenti di armi, aiutò ed inquadrò i compagni di fede. Nell’ottobre del 1943, in pieno giorno, venne arrestato a Milano nel corso Vittorio Emanuele perché affrontò coraggiosamente il comandante della ” Muti”, Colombo, mentre pestava un operaio. Domenico Fiorani, classe 1913. Nel settembre del 1943 fu licenziato dallo stabilimento nel quale lavorava, aveva poco denaro e la moglie da curare, fu così che si dedicò intensamente all’attività politica. Fondò una nuova sezione socialista a Sesto San Giovanni e diede la sua opera come propagandista e collaboratore di giornali clandestini. Il 25 giugno 1944 mentre si recava a trovare la moglie in ospedale fu arrestato dalle SS e trasferito a San Vittore. Vitale Vertemati, aveva 26 anni quando fu arrestato il 1° maggio del 44’ a causa del suo lavoro di collegamento tra i vari gruppi partigiani. Giulio Casiraghi, classe 1899, militante nel partito comunista da lunga data. Fu arrestato: nel 1931 per reati politici e per aver svolto attiva propaganda sui fogli clandestini, venne liberato dal confino di polizia nel 1936, nel 1943 perché organizzatore degli scioperi verificatisi alla ditta ” Marelli” e infine il 12 luglio dello stesso anno in quanto addetto alla ricezione dei messaggi da Londra per gli aviolanci. Tullio Galimberti, classe 1922. Chiamato alle armi, anziché militare nelle file fasciste, preferì dedicarsi al movimento clandestino. Ebbe attivi e frequenti contatti con i G.A.P e svolse numerose missioni importanti. Fu catturato in pieno giorno in una via centrale di Milano. Eraldo Soncini, classe 1901. Fin da giovane partecipò ai movimenti proletari. Attivissimo militante nelle file del partito socialista, subì un primo arresto nel 1924 e in tale occasione fu violentemente bastonato. Dopo l’8 settembre fu attivamente ricercato, ma ciò non gli impedì di partecipare alla lotta clandestina sino al giorno in cui fu catturato dalle SS. Andrea Esposito, 46 anni, iscritto al partito comunista collaborò attivamente con i partigiani della 113° brigata “Garibaldi”. Fu arrestato il 31 luglio in casa insieme al figlio Eugenio, che era sfuggito ai nazifascisti per non andare a combattere sotto le insegne della Repubblica Sociale e che verrà deportato a Dachau. Andrea Ragni, 23 anni. Dopo l’8 settembre, mentre partecipava ad un’azione per tentare di impossessarsi di armi, fu ferito e ricoverato a Niguarda da dove riuscì a scappare. Arrestato una seconda volta, riuscì a fuggire nuovamente, ma venne ripreso e rinchiuso a San Vittore sino al giorno della fucilazione. Libero Temolo , classe 1906, frequentò sin dalla gioventù i circoli comunisti del proprio paese e soffrì il carcere e le persecuzioni. Giunse a Milano nel 1925 e divenne un attivo organizzatore delle S.A..P. Fu catturato al posto di lavoro nell’aprile del 1944. Emidio Mastrodomenico, classe 1922, si trasferì a Milano nel 1940 dove operò presso il commissariato di Lambrate. Fu arrestato in quanto capo delle GAP.Salvatore Principato, classe 1892, militò sin da giovane nel partito socialista. Nel 1933 fu una prima volta arrestato perché apparteneva al movimento ” Giustizia e Libertà”. Rilasciato tornò a svolgere attività antifascista e dopo l’8 settembre lavorò intensamente per la libertà d’Italia fino al giorno del suo arresto. Renzo Del Riccio, classe 1923, socialista , era soldato di fanteria quando l’8 settembre con il suo reggimento partecipò ad accaniti scontri contro i tedeschi in Monfalcone. Tornato al suo paese, lavorò sino al marzo del 1944, epoca in cui, essendo stata chiamata la sua classe, riparò in montagna nei dintorni di Como. Organizzò un audace tentativo di sabotaggio con la collaborazione dei partigiani. Arrestato, fu inviato dai tedeschi in Germania, ma a Peschiera riuscì a fuggire e a nascondersi poi a Milano in casa di parenti. Fu arrestato in seguito ad un falso appuntamento nel 1944. Angelo Poletti,svolgeva un ‘attiva propaganda partigiana tra i lavoratori dell’Isotta Fraschini presso cui lavorava. Fu arrestato mentre andava a prelevare armi per i compagni. Rimase per molto tempo a San Vittore dove subì sevizie. Vittorio Gasparini , dopo l’invasione tedesca, messosi in aspettativa collaborò con i partigiani raccogliendo fondi e curando il funzionamento di una radio trasmittente clandestina. Fu arrestato nel novembre del 1943 vicino Brescia. Rimase a San Vittore sino al giorno della sua fucilazione. Gian Antonio Bravin , classe 1908, dopo l’armistizio iniziò la sua attività politica. Fece parte del III Gruppo GAP di cui divenne il capo organizzando vari colpi. Venne arrestato nel 1944.

Ultimo messaggio di Libero Temolo dal carcere

La strage fu perpetrata come rappresaglia per un attentato consumato il 7 agosto 1944 contro un camion tedesco (targato WM 111092) parcheggiato in viale Abruzzi a Milano. Nell’evento, in cui non rimase ucciso alcun soldato tedesco (l’autista Heinz Kuhn, che era addormentato nel mezzo parcheggiato, riportò solo lievi ferite) provocò la morte di sei cittadini milanesi e il ferimento di altri cinque. Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negò sempre che quell’attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. Certi elementi anomali hanno fatto definire ad alcuni l’attentato come controverso: il caporal maggiore Kuhn aveva parcheggiato il mezzo a poca distanza da un’autorimessa in via Natale Battaglia e dall’albergo Titanus, entrambi requisiti dalla Wehrmacht.

Sulle motivazioni della rappresaglia è utile notare come il bando di Kesselring prevedesse la fucilazione di dieci italiani solo in caso di vittime tedesche.

Theodor Saevecke, che faceva base presso l’Hotel Regina in via Silvio Pellico, sede delle SS e noto luogo di tortura, pretese ed ottenne, ciò nonostante, la fucilazione sommaria di quindici antifascisti, e compilò egli stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante, impiegata nell’ufficio delle SS, cui fu ordinato di batterla a macchina.

Dopo la fucilazione eseguita da membri della Muti – avvenuta alle 06:10 – i cadaveri scomposti furono lasciati esposti sotto il sole, per tutta la giornata calda giornata estiva e coperti di mosche, a scopo intimidatorio. Un cartello li qualificava come “assassini”. I corpi rimasero circondati da membri della Muti che impedirono persino ai parenti di rendere omaggio ai propri defunti. Secondo numerose testimonianze, i militi insultarono ripetutamente gli uccisi (definendoli, tra l’altro, un “mucchio d’immondizia”) e i loro congiunti accorsi sul luogo.

Il poeta Franco Loi, testimone della tragedia e probabilmente allora abitante nella vicina Via Casoretto, ricorda:

« C’erano molti corpi gettati sul marciapiede, contro lo steccato, qualche manifesto di teatro, la Gazzetta del Sorriso, cartelli , banditi! Banditi catturati con le armi in pugno! Attorno la gente muta, il sole caldo. Quando arrivai a vederli fu come una vertigine: scarpe, mani, braccia, calze sporche.(….) ai miei occhi di bambino era una cosa inaudita: uomini gettati sul marciapiede come spazzatura e altri uomini, giovani vestiti di nero, che sembravano fare la guardia armati! »  (Franco Loi)

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Su Alba Dorata e sulla Grecia…

Vedere le foto di greci assiepati attorno ad attivisti di Alba Dorata (krysi avgì) fa abbastanza male, sono immagini tristi che rappresentano un paese ormai perso. La fame provocata dalle strettissime misure adottate dal Governo greco hanno spinto tante persone a rivolgersi ai gruppi di attivisti neonazisti, che distribuivano generi alimentari. La situazione di generale sbando ha dato molto potere a quel partito neonazista (che ora è in parlamento) e i consensi popolari non possono che salire dinnanzi a delle spontanee distribuzioni di cibo. Ma come ci si può aspettare da un partito xenofobo e razzista, tali elargizioni alimentari non sono rivolte ai cittadini stranieri. La generale povertà indotta dalla crisi porta molte persone a rivolgere i propri consensi verso chi riesce a dare risposte forti e concrete, non prive di una certa violenza. Da parte sua Alba dorata non fa che sfruttare la disperazione dei greci per portare avanti un folle progetto politico.
Nelle strade questi militanti in camicia nera e pantaloni militari stanno diventando sempre più potenti e non è un caso che si siano intensificati gli atti di violenza verso gli immigrati nelle aree più disagiate del paese, come il porto del Pireo.

La storia  e la cultura della Grecia moderna sono perlopiù ignote alla massa di vacanzieri che invade le belle spiagge delle isole greche e ascolta il rebetiko nelle taverne. Andando leggermente a fondo si può ben vedere che la Grecia moderna, quella nata dopo l’indipendenza dall’impero ottomano, ha sempre avuto evidentissimi problemi politici, non poche volte sfociati in efferati regimi di stampo fascista. Il primo regime, quello di Ioannis Metaxas, durò poco, dal ’39 al ’40, quando la Grecia venne invasa dalle forze nazifasciste. Dopo la fine dell’occupazione, dal ’46 al ’49, una lunga guerra civile cercò di appianare i conflitti sorti tra le diverse aree politiche createsi durante la resistenza alle forze nazifasciste. Il risultato di questa lunga guerra fu solo una frattura profondissima nel tessuto del paese e un conseguente affossamento economico. Questo è l’antefatto principale di quello che fu il brutale regime dei colonnelli. Negli cinquanta e nei primi anni sessanta in Grecia c’era il re e i governi erano spesso conservatori e di centro, non vi fu comunque una grande stabilità economico-politica. La situazione di incertezza sfociò nel 1965 quando si verificò una grave crisi politica, che portò al cambio di diversi governi (!!!). Da quel momento la forze militari autoritarie e anticomuniste cominciarono ad organizzarsi in modo da poter raccogliere il maggior potere possibile. L’anno successivo, nella notte tra il 20 e il 21 aprile, i golpisti agirono ,Papadopoulos, Makarezos e il colonnello Ioannis Ladas formalizzarono il Colpo di Stato. I militare presero possesso delle istituzioni del paese e dei centri di comunicazione, membri del precedente governo e semplici cittadini di sinistra furono arrestati sommariamente. Il giovane Costantino II non seppe che dare il proprio avvallo al regime militare. Da lì fino al 1974 ci fu per la Grecia una dittatura efferata e autoritaria, dove il dissenso era punito con la tortura, il confino o la morte, dove ogni espressione artistica e intellettuale era fortemente bandita. Kostas Gavras alla fine del sue bel film “Z l’orgia del potere” fece dire alla voce narrante: “Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico“.
Con ciò un augurio alla Grecia, che possa essere forte, senza gli orribili rigurgiti neofascisti, un augurio che passa per le parole di un loro grande poeta. O. Elytis (parole musicate da M. Theodorakis dopo il regime dei colonnelli).

Sole ideale della giustizia – e tu mirto della gloria
no, vi prego, – non dimenticate il mio paese !
Ha gli alti monti in forma di aquile – e sui vulcani festoni di vigne
e le case più bianche – nel quartiere dell’azzurro !
Le mie mani tristi con il Fulmine – le riporto indietro dal Tempo
chiamo i miei vecchi amici – con minacce e sangue!

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Strage di Bologna

Bologna, trentadue anni fa, una bomba scoppia in una gremita sala d’aspetto della stazione. Sono le dieci e venticinque, la stanza è piena di gente, turisti, vacanzieri, studenti; cinque chili di tritolo e diciotto chili di nitroglicerina stipati in una semplice valigia spezzano la vita a ottantacinque persone e furono ferite duecento. Ottantacinque storie falcidiate da una violenza cieca, la stessa violenza che aveva soggiogato il nostro paese per più di vent’anni. Chi mai avrebbe pensato di cadere vittima in una sala d’aspetto di una stazione, alla partenza o al ritorno dalle vacanze, molti di loro già pregustavano il mare o avevano nel cuore la nostalgia per la sabbia il sale o il sole caldo. L’onda d’urto di quello scoppio fece crollare un’intera ala della stazione, investì un treno fermo sulla banchina, distrusse un lungo tratto di pensilina, trenta metri.
Tutti questi numeri riassumono velocemente l’odio di chi ha voluto far cessare ottantacinque innocenti giovani, mature, anziane storie. L’elenco dei loro nomi innocenti è memoria tangibile di un sacrificio inutile, caposaldo immenso di una testimonianza che ci deve essere sempre più cara dinnanzi ad ogni esternazione violenta di quell’odio del terrorismo Nero che ha macchiato tanto il nostro paese. Il loro ricordo deve essere esempio non immobile, ma spinta forte verso ideali antifascisti, affinché non più si possano vedere monumenti creati a commemorare  nuove stupide stragi.
Il ricordo deve esternarsi e concretizzarsi in comportamenti volti ad estirpare i rigurgiti e le comparse carsiche del fascismo. Il ricordo deve volgerci alla giustizia, che è diritto fondamentale di ogni popolo. Il ricordo deve aiutarci a rigettare tutte quelle affermazioni destabilizzanti che vogliono minimizzare la gravità della strage, come le dichiarazioni di Licio Gelli e del suo mozzicone. Le parole e l’ironia becera di chi non ha perso i più cari affetti feriscono chi si trova privato della più grande ricchezza come se fossero un’eco dell’onda d’urto provocata dalla bomba.
Contro queste parole terribili, contro la violenza di chi sfacciatamente continua a non mostrare vergogna o pentimento, noi opponiamo parole fieramente partigiane e antifasciste.

E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all’ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone
in ogni
rutto – scoppiato e disseminato –
in milioni di
dimenticanze, di comi, bburp.
(Il Nome di Maria Fresu, Andrea Zanzotto)

Il nome di Maria Fresu è il pungolo del nostro ricordo, il suo nome immateriale – la sua storia oramai senza corpo – risuoni nell’indifferenza di un paese con la memoria disintegrata. I ventiquattro anni di Maria e i tre della sua bambina Angela rimangano perpetui nel suono non conciliante della voce del Poeta e con loro anche le restanti ottantaquattro storie.

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