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I nostri compiti in un tempo difficile

L’elezione del presidente nazionale dell’Anpi. La telefonata del presidente dei partigiani sloveni Marijan Krizman. I valori della Resistenza e la drammatica crisi attuale. Tre punti fermi di lavoro: unità, giovani, cultura. La prospettiva del congresso. Nervi saldi, cervello a tutto regime, cuore in mano.

Pochi minuti dopo la mia elezione a presidente nazionale dell’Anpi, quando già le agenzie avevano battuto la notizia ed era ancora in corso la riunione del Comitato nazionale, è squillato il mio cellulare. Era Marijan Krizman, presidente della ZZ NOB, l’associazione partigiana slovena, che mi chiamava per felicitarsi dell’incarico che mi era stato consegnato e per esprimere la sua personale soddisfazione. Con lui mi ero incontrato il 25 settembre a Trieste concordando un comune piano di lavoro.

È stata la prima di tantissime telefonate. Questo gesto mi pare simbolico del ruolo che svolge oggi l’Anpi su scala continentale. È così: oggi l’associazione nata dai combattenti della Liberazione ha un peso e una voce di grande rilievo, che va oltre i confini del Paese e ne testimonia la vocazione europeista.

È evidente che l’incarico a cui sono stato chiamato è per me un grande onore, e mi attribuisce una straordinaria responsabilità. Davanti a tutti i cittadini, tutti gli antifascisti, tutte le iscritte e gli iscritti Anpi. Ma anche davanti a chi non c’è più: i partigiani, le staffette, i protagonisti dei venti mesi che allora riscattarono l’Italia dall’infamia di un ventennio di guerre di aggressione e di repressione selvaggia di qualsiasi opposizione. Di quelle donne e di quegli uomini ci rimane una memoria fondativa, un gene ineliminabile che è la ragione stessa dell’esistenza dell’Anpi e che citiamo come un riferimento di valori costitutivi: libertà, eguaglianza, democrazia, solidarietà, pace. Ci troviamo perciò ad essere i custodi di questo scrigno ideale. Eppure non basta; occorre il passo successivo, e cioè come questo grappolo di valori si misuri e si incarni nel luogo e nel tempo che viviamo, insomma nel mondo e nell’Italia di oggi. A dire il vero questo è sempre avvenuto, dai tempi del presidente Arrigo Boldrini a quelli, più recenti, del presidente Carlo Smuraglia, agli ultimi tre anni, gli anni della presidente Carla Nespolo la cui scomparsa ha causato in tutti noi un traumatico dolore.

Ma le novità degli ultimi anni, mesi, settimane, incalzano, e richiedono il massimo di riflessione su ciò che sta cambiando. Siamo in una situazione evidente di difficoltà democratica, causata da alcuni fattori che contemporaneamente operano in negativo: il violento riprendere della pandemia col suo carico di insicurezze, di allarme sanitario e di lutti; l’irruzione di una tensione sociale causata principalmente dai riflessi dei provvedimenti di tutela contro il virus sulla situazione economica di intere fasce sociali, professioni, nuclei familiari; la rabbia delle periferie; lo squadrismo fascista più o meno organizzato che ha accompagnato molte manifestazioni di protesta negli ultimi giorni. Si aggiungano le incertezze e contraddizioni interne al governo, il ruolo di gran parte dell’opposizione – non di tutta – negativo, prevalentemente rivolto a esasperare le tensioni sociali, le tensioni con le Regioni, nonostante i meritori appelli del Presidente della Repubblica sull’esigenza di politiche condivise e di una collaborazione fra istituzioni.

In un quadro così inquietante di difficoltà democratica l’Anpi può e deve operare alla luce di quel sistema di valori che sono – a ben vedere – la sua ragion d’essere. Avremo modo di approfondire questo argomento, oggi particolarmente complesso e difficile. Ma alcuni punti mi paiono già fermi.

Il primo riguarda la politica dell’unità. Dobbiamo continuare a perseguirla in modo rigoroso e coerente. Come prima, più di prima. In una parola, unità fino in fondo in particolare sui temi essenziali della missione dell’Anpi: la memoria, il contrasto ai neofascismi e ai razzismi, l’impegno per l’attuazione della Costituzione. La politica dell’unità va approfondita. Mi riferisco all’infinito mondo dell’associazionismo, del terzo settore, del volontariato, dalle grandissime organizzazioni – sindacati, Arci, Acli, Libera – al pulviscolo associativo che è presente in ogni campanile. Mi riferisco al movimento delle sardine. Mi riferisco ovviamente alle altre associazioni partigiane. Ma mi riferisco anche al popolo, alle persone, al nostro rapporto diretto con i cittadini e i lavoratori al mercato, al bar, nelle aziende e nelle fabbriche, sui social, ovunque. L’antifascismo è anche e per alcuni aspetti specialmente unità popolare, in particolare oggi. L’unità, la condivisione, la solidarietà sono ragionevolmente l’unico antidoto contro solitudine, insicurezza, rancore.

Il secondo punto è il rapporto con i giovani. Da più di dieci anni è in corso una nostra meritoria apertura alle giovani generazioni. Ebbene, noi dobbiamo far sì che questa apertura diventi larghissima. Mi riferisco alle fasce di età dai 18 ai 35 anni, cioè dai ragazzi fino ai giovani adulti. Queste generazioni sono portatrici di sensibilità, linguaggi, costumi, abitudini, culture, del tutto diverse da quelle delle generazioni precedenti. Quarant’anni fa il figlio dell’operaio, grazie alle conquiste sociali del tempo, poteva ambire a diventare avvocato o medico; oggi, se gli va bene, fa il rider. Allora c’erano luoghi e modi di socializzazione. Oggi i luoghi sono stati cancellati e i modi sono del tutto cambiati. Fra noi e loro c’è stata la rivoluzione del web. Si tratta di generazioni che hanno maturato attenzioni diverse rispetto alle nostre: penso in particolare – ma non solo – alle tematiche del riscaldamento globale. Oggi queste generazioni hanno avuto tanti, troppi esempi negativi. Tanti, troppi cattivi maestri. Prevale un mainstream pseudoculturale dominante infarcito di violenze e disvalori, un senso comune indotto fascistoide che non va sottovalutato. E gli effetti si vedono troppo spesso anche nella cronaca nera. C’è perciò un problema di cultura, cioè di conoscenza, costume, abitudini di vita che va affrontato.

Ed ecco il terzo punto. La cultura è l’elemento fondamentale per declinare il sistema di valori nato dalla Resistenza nelle contraddizioni dell’Italia attuale. Non basta essere predicatori di libertà, democrazia, eguaglianza, solidarietà, pace. Occorre operare perché questi valori ispirino sempre più l’insieme delle attività culturali del nostro Paese, la formazione, l’autoformazione. L’obiettivo dev’essere la costruzione di un punto di vista critico che non può maturare senza un accrescimento dei saperi, senza un accumulo di conoscenze. Dev’essere perciò messo a tema il rapporto fra l’Anpi e il complesso mondo degli intellettuali, che oggi è molto diverso da quello degli 50, 60, 70, sia perché sono cambiati i lavori intellettuali, sia perché sono scomparse le grandi agenzie politiche e sociali di quel trentennio. Questo è tanto più urgente perché stanno scomparendo grandi figure di riferimento artistico e culturale del dopoguerra. Sono tutti nostri lutti, lutti del Paese: penso a persone, solo per citare ferite recentissime, come per Gigi Proietti, o meno recenti, come per Gianrico Tedeschi, Rossana Rossanda, Andrea Camilleri, Franca Valeri, Paolo Poli.

L’Anpi, in questa situazione così difficile e carica di rischi, si avvierà fra poco verso i lavori congressuali. Il congresso nazionale si svolgerà verso la fine dell’anno prossimo e sarà preceduto, come sempre, dai congressi provinciali e da quelli di sezione. Non sarà di certo una routine: tutto sta cambiando in un vortice di tensioni e di drammi. Basti pensare alle sconvolgenti notizie dei giorni scorsi dalla Francia.

Nervi saldi, cervello a tutto regime, cuore in mano: ecco l’Anpi che si avvia al congresso, l’Anpi dei prossimi mesi, pronta a raccogliere la sfida di una postmodernità che si sta dimostrando matrigna. Certo, è un lavoro quotidiano. Ma che parte da una visione di mondo in cui al centro sono le persone. La visione della Costituzione della repubblica italiana. Se il presidente di una Regione scrive, a proposito dei decessi degli anziani (e non c’è smentita – caro Toti – che tenga) che si tratta di “persone non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”, vuol dire che il guasto è giunto alle radici del patto costituzionale, vuol dire che persino in alcune istituzioni alberga una visione per cui prima vengono le merci, poi le persone, prima l’economia, poi la vita. Questo è intollerabile. In un tempo di volgare e blasfema strumentalizzazione dei simboli religiosi colpisce, fra l’altro, l’abissale distanza dal messaggio evangelico e dall’ultima enciclica potentemente ispirata a quel messaggio, “Fratelli tutti”, di poche settimane fa.

L’Anpi è qui. In un tempo sferzato da pandemia, violenze e povertà, l’Anpi è qui. Con Carla nel cuore. Con un vicepresidente vicario – Carlo Ghezzi – per un ulteriore rafforzamento della nostra struttura. Con un gruppo dirigente confermato e con alcuni importanti ingressi. Pronti a fare la nostra parte. Partigiani, come allora. Partigiani delle persone, della loro dignità, della loro vita. Partigiani della Costituzione. Partigiani, contro i fascisti vecchi e nuovi. Partigiani, contro le guerre vecchie e nuove. Chiamatelo antifascismo. O, se volete, umanesimo nel terribile anno 2020.

di Gianfranco Pagliarulo

da Patria Indipendente

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Piazza Almirante e Berlinguer. Non è una fake

L’oltraggiosa decisione da parte del consiglio comunale di Terracina. La protesta dell’Anpi cittadina

b1-1Al grande libro degli oltraggi, oggi particolarmente di moda, si aggiunge una pagina del tutto nuova. Una pagina nera. Letteralmente. Si chiama “Piazza Almirante e Berlinguer”. Non è una fake. È la mozione approvata dal consiglio comunale di Terracina (Latina) per intitolare il piazzale antistante Villa Tommasini. 12 a favore, 8 astenuti, un voto contrario. In giunta, una lista civica con persone di Fratelli d’Italia. A nulla sono servite le ripetute prese di posizione dell’Anpi cittadina per contrastare questa decisione. Nell’ultima, in data 24 luglio, è scritto fra l’altro che “dedicare una piazza pubblica a Giorgio Almirante vuol dire celebrarlo e celebrare il fascismo. Consentire la celebrazione di Giorgio Almirante significa disattendere e violare il dettato della Costituzione”. E ancora, in un’altra nota: “Non si può parlare di senso dello Stato riferendosi a chi ha aderito fino alla fine ad una dittatura che ha caratterizzato il periodo peggiore del nostro Paese”; “un fascista è sempre un fascista, e nel nostro paese non può e non deve, come sottolinea anche la legge, esserne tramandato l’esempio”.

C’è da aggiungere che accostare questo nome a quello di Enrico Berlinguer ne segna una stomachevole violazione della memoria. È evidente che dietro tale scelta c’è l’idea miserabile di legittimare un’intera storia, quella del fascismo, attraverso l’equiparazione di due figure diametralmente opposte e inconciliabili, simbolo l’una del ventennio e della persistenza del fascismo nel secondo dopoguerra, e l’altra della lotta per l’attuazione della Costituzione e del contrasto irriducibile ed irreversibile ad ogni fascismo ed autoritarismo.

È il sudario di una presunta “definitiva pacificazione nazionale” (così definita dal consigliere Giuseppe Talone di Fratelli d’Italia, già candidato nel 1993 per il Msi), che mette nello stesso mazzo perseguitati e persecutori, vittime e carnefici, fascisti a antifascisti, razzisti e antirazzisti. La prossima sarà piazza Mussolini e Gramsci?

È superfluo ribadire le ben note responsabilità di Giorgio Almirante nel ventennio: dalle sue parole sul periodico “La difesa della razza”, di cui era segretario di redazione, al famoso bando da lui sottoscritto che minaccia la pena di morte “mediante fucilazione alla schiena” per i renitenti alla leva di Salò; ed anche le sue responsabilità successive, e cioè l’aver guidato per decenni il Msi, partito che incarnava la continuità col disciolto partito fascista. “Piazza Almirante e Berlinguer” è il compendio, l’epitome, di una serie di episodi di forzata rivalutazione del fascismo che oramai da anni avvelenano la vita pubblica dell’Italia.

È un evento orribile per Terracina, ma in realtà per tutto il Paese. Davanti ad uno sfregio alla coscienza civile degli italiani non ci possono essere mezze tinte. C’è bisogno di una voce unica e unita di tutte le forze democratiche antifasciste, c’è bisogno urgente di una scelta di parte, la parte della repubblica democratica e della Costituzione antifascista.

di Gianfranco Pagliarulo da Patria Indipendente

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La vergogna della mobilitazione del fronte negazionista nel quarantesimo della strage di Bologna.

LA VERGOGNA DELLA MOBILITAZIONE DEL FRONTE NEGAZIONISTA NEL QUARANTESIMO DELLA STRAGE DI BOLOGNA , TRA LORO IL CONDANNATO LUIGI CIAVARDINI, GRUPPI NEOFASCISTI E NEONAZISTI, ESPONENTI DELLA DESTRA E DEI CINQUE STELLE.

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​Il prossimo 2 agosto, senza vergogna e per la prima volta, proprio in occasione del quarantesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna, si mobiliterà in diverse piazze italiane un arco di negazionisti composito (dal comitato “L’ora della verità sul 2 agosto 1980” all’associazione ’La verità su Ignoto 86”) per contestare una verità storica e giudiziaria ormai consolidata sulla matrice fascista dell’attentato.

L’evento principale dovrebbe svolgersi in piazza del Popolo a Roma. Tra i più attivi, autore di un appello, anche Luigi Ciavardini, condannato definitivamente per la strage in concorso con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, affiancato da gruppi di neofascisti come La Rete e Forza nuova, nonché neonazisti come gli ultras dell’Hellas Verona.

Le tesi sostenute per scagionare i fascisti sono le stesse che furono messe in atto dalla P2 per proteggere i Nar, inventando fantomatiche piste internazionali, archiviate tutte come inconsistenti dalla magistratura. Il tutto mentre, proprio in questi mesi, si sono concluse le ulteriori indagini della Procura generale di Bologna che ha rinviato a giudizio come complice una altro neofascista, Paolo Bellini, e individuato come mandanti della strage proprio i vertici della loggia gelliana, riscontrando il flusso di denaro (quasi 15 milioni di dollari) utilizzati per pagare gli esecutori dei Nar e sostenere campagne depistatorie.

Suscita sconcerto, in questo quadro, un convegno negazionista promosso in Senato con la partecipazione del vicepresidente del Copasir, Alfredo Urso, di esponenti parlamentari di Forza Italia, ma soprattutto dei Cinque stelle, a dimostrazione di come questo partito sia un coacervo confuso e indistinto, con al proprio interno personaggi di destra decisamente impresentabili.

da Osservatorio democratico sulle nuove destre

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L’“annus horribilis” e il referendum

Assieme alle regionali e alle amministrative il voto referendario. Il tema della rappresentanza smarrita e questa diminuzione del numero dei parlamentari. Operare perché il parlamento torni ad essere specchio delle contraddizioni sociali del Paese e luogo del conflitto e della mediazione

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“Anno bisesto tutte le cose van di traverso”, “Anno bisesto che passi presto”, “Anno bisestile chi piange e chi stride”: un’antica tradizione di proverbi dipinge gli anni bisestili come particolarmente infausti. Non ci vuol molta fantasia per considerare il 2020 annus horribilis, un tempo che rimarrà nella storia del mondo per la micidiale pandemia con le sue luttuose conseguenza e per la crisi economica i cui effetti traumatici si iniziano appena a percepire.

Sarà un caso, ma è anche l’anno del referendum sulla riduzione del numero di parlamentari. Il ruolo del parlamento è tema essenziale per il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche, già sotto stress da tempo: un parlamento che troppe volte si riduce a cassa di risonanza delle decisioni del governo, spesso luogo di inverecondi eventi – vedi, ultimo di una lunga serie, l’espulsione di Sgarbi dall’emiciclo a furor di commessi dopo gli irripetibili insulti ad una sua collega -, eletto da una percentuale sempre inferiore di cittadini. Insomma, un lungo percorso di svuotamento di fatto del ruolo delle Camere come organo della rappresentanza politica in cui si esercita la sovranità popolare. L’origine di tale declino data – più o meno – da quando si sono posti in alternativa, quasi in conflitto, due parole difficili: rappresentanza e governabilità. Che vuol dire rappresentanza? Agire su consapevole mandato di altri, in loro nome. Che vuol dire governabilità? Garantire, dati determinati requisiti, continuità all’azione del governo. Il mantra dominante, oramai da decenni, è stato più o meno questo: la rappresentanza limita, diminuisce, frena la governabilità. Nel mondo d’oggi la governabilità è tutto, ergo potenziamola. Risultato finale: gli elettori si sentono sempre meno rappresentati dal parlamento, ragion per cui cresce l’astensione; la governabilità è spesso in fibrillazione per tutt’altra ragione rispetto alla rappresentanza, e cioè per le contraddizioni o i veri e propri spasmi interni ai partiti che governano. Esempio luminoso come il sole a mezzogiorno: la crisi di governo avviata da Salvini l’8 agosto 2019, quando ha scientemente fatto cadere il suo governo “giallo-verde”, invocando elezioni impossibili, data la chance della formazione di un nuovo governo con un’altra maggioranza. A ben vedere si scopre che la grandissima parte delle crisi di governo degli ultimi decenni è stata causata da scelte politiche del leader o del partito, e non certo da un “eccesso di ruolo” di rappresentanza del parlamento.

Dato tutto ciò, e data la evidente crisi in tutto l’occidente della democrazia e della politica, una persona normale avrebbe atteso provvedimenti seri e ponderati tesi a rafforzare in modo profondo la rappresentanza per restituire fiducia ai cittadini e ruolo al parlamento. Già. Ma qual è il ruolo del parlamento? Il parlamento disegnato dalla Costituzione dovrebbe essere, con uno slogan, “lo specchio del Paese”, cioè il luogo dove si confrontano rappresentanze proporzionali di opinioni e interessi diversi e, tramite il gioco del conflitto e della mediazione, si approvano le leggi.

La domanda essenziale è perciò molto semplice: la specifica riduzione del numero dei parlamentari prevista dalla riforma va in questa direzione o va in direzione opposta? L’opinione dell’Anpi è la seconda. Vediamo perché.

Il parlamento passerà dagli attuali 630 deputati a 400 e dagli attuali 315 senatori a 200. È un taglio di più del 30%, non fondato su alcuna ragionevole analisi e che sembra rispondere esclusivamente a quattro ragioni di propaganda: 1) La riduzione della spesa; una riduzione che consentirebbe un risparmio irrilevante; chi ci dice che domani, col pretesto del risparmio, non si taglino altri strumenti di democrazia rappresentativa? Il punto è che la democrazia ha un costo che in realtà è un investimento a favore della rappresentanza. Un conto è ridurre con buon senso spese superflue, altro conto è tagliare spese necessarie. Se non compro più sigarette, oltre al risparmio, ne guadagnerà la mia salute. Ma se non pago la bolletta della luce, fino a prova contraria mi tagliano la corrente. La “riduzione dei costi” come valore in sé è uno dei tanti flatus vocis dell’antipolitica, il cui risultato è il rischio di un pericoloso scivolamento verso l’antidemocrazia; 2) La campagna contro la “casta”, generica accezione qualunquista che mette sotto accusa il parlamento in quanto tale. Da qualche decennio la politica in generale e il parlamento in modo specifico sono identificati come il brodo di coltura della “casta”, fruitrice di immotivati privilegi e sproporzionati emolumenti. Da un lato una casta politica dipinta come brutta e cattiva, dall’altro interi segmenti sociali con redditi stratosferici e privilegi da milleeunanotte coperti da un muro di silenzio (meglio non far nomi per carità di patria). In altri termini: quando esplodono le diseguaglianze (cioè oggi) si difende una struttura sociale rigorosamente classista, cioè che conserva ed esalta le diseguaglianze, e si offende una struttura della rappresentanza politica invece di restituirle la sua funzione costituzionale. Tutto ciò non è nuovissimo: le polemiche contro il “parlamentarismo” affondano nei tempi del secolo scorso e hanno storicamente aperto un varco nel bastione della democrazia. 3) L’Italia è il Paese con più parlamentari d’Europa. Troppe poltrone. Del tutto falso. Nei Paesi Ue l’Italia, rispetto al numero di abitanti, ha un numero di deputati medio-basso, più di Francia, Olanda, Spagna e Germania, e meno di tutti gli altri 22 (ventidue) Paesi (fonte: Dossier degli uffici studi di Camera e Senato del 7 ottobre 2019). 4) Meno parlamentari, così il parlamento sarà più efficiente. Dipende da cosa intendiamo per efficienza. Il parlamento non è un’impresa. L’Italia reale sarà meno rappresentata. Un solo esempio: a rischio di scomparsa le minoranze linguistiche. Non solo: sarà più precario e macchinoso il funzionamento delle Commissioni e degli altri organi delle Camere.

Andiamo avanti. Mentre prima si contavano 96.006 abitanti per deputato, con la riforma si conteranno 151.210 abitanti per deputato. L’Italia diventa il Paese Ue col più alto numero di abitanti per deputato. Sarà ovviamente più difficile rappresentare un numero così elevato di cittadini.

Intendiamoci: una ragionevole riduzione del numero dei parlamentari potrebbe in linea di principio essere accettabile, purché motivata, limitata e congruente. Non è questo il caso.

In sostanza tale riforma non rende il Parlamento più rappresentativo, non restituisce fiducia ai cittadini, letica la “pancia” degli odiatori professionali (quelli che odiano la politica, il parlamento, il confronto, il conflitto, la composizione), apre problemi complicatissimi: occorrerebbe una contestuale nuova legge elettorale che salvaguardi per quanto possibile i partiti minori dalla loro cancellazione, e perciò una legge proporzionale. Si parla di uno sbarramento del 5%. Con questo sbarramento nella storia italiana il Pri di La Malfa – partito piccolo ma fortemente rappresentativo nel Paese dei primi decenni del dopoguerra – difficilmente sarebbe entrato in parlamento. Ma occorrerebbero anche nuove norme per l’elezione del Presidente della Repubblica. Art. 83 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica italiana è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze”. Se il parlamento passa da 965 membri a 600 membri con tre delegati per regione si scombina il potere di elezione: meno potere il parlamento, più potere le Regioni. Detto per inciso: non pare che l’attuale attribuzione di poteri alle Regioni abbia rappresentato il modo migliore per contrastare la pandemia (ma questa è un’altra storia).

In breve: il parlamento italiano ha un problema, e cioè l’urgenza di riconquistare la sua centralità attraverso un più forte ruolo di rappresentanza ed uno sganciamento dalle decisioni del governo (decreti legge, mozioni di fiducia). La riforma peggiora la situazione ed aggiunge problema a problema.

Infine: con i soliti anglismi  che stanno butterando la  lingua italiana, si andrà all’election day. Il votare assieme per una importante modifica della Costituzione che avrà effetti permanenti sulla vita istituzionale e per un composito turno di elezioni regionali e amministrative, cioè l’esercizio ordinario della democrazia rappresentativa, è una evidente diminuzione del valore della scelta referendaria. Il voto referendario sarà trascinato dal voto delle amministrative e delle regionali, diventando una specie di cenerentola della tornata elettorale. Sarà irrealizzabile promuovere nel Paese una riflessione seria sul ruolo del Parlamento e della politica oggi quanto mai urgente, per evitare che scelte di questo peso siano decise in modo superficiale. Il cittadino sarà di fatto privato del diritto di informare ed informarsi, e di conseguenza la sua scelta sarà condizionata. Per questo l’accorpamento della votazioni, diventato legge a metà giugno, sembra un grave errore e una irrimediabile forzatura.

Conclusione: con la riforma si appanna ulteriormente l’immagine del parlamento come luogo dove esercitare il pluralismo della rappresentanza ed il virtuoso conflitto fra interessi sociali diversi. Bene sarebbe invece ricominciare da una riforma del sistema politico in attuazione dell’art. 49 Cost. (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”), affinché i partiti diventino fucine di idee e di progetti di trasformazione, il cittadino torni a riconoscersi nel parlamentare eletto, il parlamento torni ad essere specchio delle contraddizioni sociali del Paese e luogo della mediazione. La crisi indotta dagli effetti della pandemia ci racconta che il tempo sta scadendo, che la fiducia nelle istituzioni è a fondamento della loro credibilità, e assieme che l’intervento pubblico è garanzia della coesione sociale e della tenuta democratica. Ma ci dice anche dei gravi pericoli che corre la democrazia, come insegna la deriva autoritaria di tanti Paesi.

Con la demagogia non si va da nessuna parte. Ci aspettano mesi pesantissimi che avranno come oggetto le condizioni di vita di milioni e milioni di donne e di uomini. In questo scenario sta a tutti noi riprendere, con pazienza e serenità, il filo di una discussione che, a partire dai temi della lotta alle diseguaglianze, ponga al centro la questione della rappresentanza e del ruolo del parlamento come luogo di difesa del lavoro e del reddito. Perché in parlamento si rappresentano gli interessi. Ed è bene oggi che si difendano in primo luogo gli interessi dei lavoratori, dei più poveri, dei ragazzi a tempi determinato, dei ceti medi decaduti, dei disoccupati.

Annus horribilis, questo 2020!

di Gianfranco Pagliarulo da Patria Indipendente

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25-04-1945 – 25-04-2020 – 75° Anniversario della Liberazione.

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Gentile sindaco,

leggiamo il comunicato stampa sul sito del Comune di Senago a proposito della celebrazione del 25 aprile, anniversario della Liberazione. Ci piace constatare che sia subito ricordato a tutti i Senaghesi che appunto il 25 aprile si celebra l’anniversario della Liberazione.

Nel seguito del comunicato però il concetto appare offuscato.

Non è pedanteria, ma senso civile e responsabilità sociale che ci fa sottolineare che la giornata del 25 aprile non è dedicata ai caduti di tutte le guerre (e, perdoni: guerre, non Guerre, ché né grammatica né etica permettono la maiuscola), ma è l’anniversario della Liberazione. Si ricorda la lotta di donne e uomini contro il regime nazista e fascista. Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ordina l’insurrezione generale di tutti i territori dell’Italia ancora occupati dai nazi-fascisti.

La Liberazione avviene quindi per opera dei partigiani. Immaginiamo che nel comunicato stampa ci si riferisca a loro quando si scrive di visioni e pensieri differenti.

Ci dispiace però che la parola ‘partigiani’ non ci sia neppure una volta nel messaggio del Comune di Senago. Eppure, sarebbe stata quanto mai appropriata quest’anno, quando la malattia ha portato via molti partigiani. Ci sarebbe piaciuto leggere nel comunicato un ricordo esplicito alla loro lotta di Liberazione, contro il fascismo (altra parola stranamente assente nel comunicato). Rendendo omaggio al Sacrario, il 25 aprile ha deposto la corona anche in onore di Luigi Mantica ed Emilio Lattuada, due civili che hanno dato la vita per la Libertà dal nazifascismo. Non appartenevano né alle Forze armate, né alle Forze dell’ordine. Erano un infermiere ed un centralinista che prestavano il loro lavoro nell’Ospedale di Garbagnate Milanese. Nel novembre del 1944 furono trascinati via, insieme con altri operatori della Sanità, dai nazisti e dalle Brigate Nere, fascisti con sede a Bollate. Quel giorno fu ammazzato di botte Mantica; Lattuada perì nel campo di concentramento di Flossemburg.

Infine, non possiamo che condividere il disagio espresso nel comunicato per l’anomalia delle celebrazioni del 25 aprile 2020: avremmo voluto essere in tanti a Senago, come a Milano. Purtroppo le circostanze straordinarie non lo hanno permesso e dunque ci si è giustamente attenuti alle disposizioni nazionali, nel pieno rispetto delle norme della sicurezza, a cui va senz’altra data priorità in questo momento.

I cittadini senaghesi hanno partecipato dai balconi, intonando ‘Bella ciao’, a ricordo dei partigiani, in occasione dell’anniversario della Liberazione.

La ringraziamo per l’attenzione e la salutiamo cortesemente,

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione di Senago

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Documento del Comitato Nazionale Anpi su referendum 29 marzo.

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La legge che verrà sottoposta al voto, col referendum del 29 marzo, non corrisponde in realtà ad alcuna necessità concreta e rappresenta semplicemente una manifestazione di quella antipolitica che si fa circolare nel Paese creando un grave discredito verso le istituzioni fondamentali della Repubblica.

Questa riduzione del numero dei parlamentari – frutto di improvvisazione e opportunismo – non corrisponde ad alcuna esigenza reale, anzi investe negativamente il tema della rappresentanza, incidendo sulla stessa struttura istituzionale delineata nell’art. 1 della Costituzione, ponendo seri problemi per la composizione del Parlamento che sia veramente rappresentativa di tutte le esigenze e di tutte le realtà del Paese, e mettendo, insomma, a repentaglio, la funzionalità e la centralità del Parlamento stesso.

Questa diminuzione del numero di parlamentari renderà precario e macchinoso il funzionamento delle Commissioni e degli altri organi delle Camere. Per di più occorrerà riscrivere immediatamente la legge elettorale al fine di garantire in Parlamento la presenza, a rischio con tale riforma, di tante forze politiche, e rivedere i criteri di partecipazione alla elezione del Presidente della Repubblica da parte dei grandi elettori delle Regioni.

La stessa riduzione di spesa è ridicola, posta a fronte di tante altre spese che le istituzioni sopportano inutilmente e che da anni vengono segnalate con diversi progetti da esperti, le cui indicazioni non vengono mai raccolte. Insomma, una legge – quella sottoposta a referendum – che non riduce le spese se non in modo “simbolico” ed incide negativamente su un esercizio della sovranità popolare che sia davvero fondato sulla rappresentanza.

Il giudizio, dunque, non può che essere assolutamente negativo sotto ogni profilo. Anche, e soprattutto perché peggiorerebbero i problemi reali delle istituzioni e in particolare del Parlamento, che dovrebbe essere organo centrale di tutta l’attività politica e istituzionale ed invece, di fatto, è esposto da anni ad una sostanziale emarginazione.

Ciò che occorre, semmai, è ricondurre il Parlamento a quel ruolo centrale per le istituzioni e la politica che la Costituzione gli assegna, come luogo di confronto e di elaborazione, anziché ricorrere – come accade continuamente – all’abuso dei decreti legge e del voto di fiducia.

La politica deve tornare ad essere quella pensata dall’art. 49 della Costituzione, che assegna ai partiti il compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Un concorso che si realizza solo se avviene in Parlamento, attraverso la progettazione e l’elaborazione delle misure occorrenti per rafforzare la democrazia, non solo nelle sue forme esteriori, ma anche e soprattutto nei suoi contenuti.

Per tutte queste ragioni, l’ANPI dà il NO come indicazione di voto e ritiene nel contempo che non basti l’espressione di un voto negativo, ma occorra promuovere nel Paese un’ampia riflessione sul ruolo del Parlamento e della politica, in stretta aderenza ai princìpi costituzionali.

Realizzerà, dunque, in piena autonomia e senza aderire ad alcun Comitato esterno, iniziative culturali e politiche.

IL COMITATO NAZIONALE ANPI

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No al Taglio del Parlamento

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Appello per la costituzione del comitato senaghese per il No al taglio dei Parlamentari.

Il taglio del Parlamento è il taglio della rappresentanza popolare, falsamente spacciato per risparmio. Così facendo si riduce la discussione, il confronto nelle istituzioni ed anche la voce delle minoranze.

Facciamo appello a cittadini, forze sociali democratiche, antifasciste e antirazziste in difesa della Costituzione per l’ennesima volta messa in discussione.

Anche a Senago si costituirà il Comitato per il NO al Referendum Costituzionale del 29 marzo ed il primo appuntamento è fissato per martedì 18 febbraio alle ore 21 presso la Casa delle Associazioni in viale Risorgimento 47.

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La storia siamo noi

sana e robusta costituzione
► Riflessioni di una mattina di inizio settimana
Avevo ancor il cuore pieno del bel pomeriggio di domenica, trascorso alla Festa della Sezione Barona, con tanta gente, tanto calore, tanta “amicizia”, tanta speranza e progetti per il futuro; qualcosa che ti lascia felice, sereno, soprattutto per ciò che quel calore, quell’impegno, quell’amicizia, significano.
Mi risveglio e l’ascolto del giornale radio e della rassegna stampa è stato piuttosto brutale. Perciò ho deciso di non fare singole note, come al solito, ma di attenermi piuttosto al quadro complessivo.
La settimana si apre con la quasi certezza che sarà approvata la legge elettorale, una legge orrenda che si può riassumere nelle scarne ma decise parole di un commentatore: “una legge che doveva assicurare rappresentanza e governabilità e invece non riesce a garantire né l’una né l’altra”. Una bella prospettiva, non c’è che dire; e non tanto per la governabilità (alla fine qualche soluzione si dovrà trovare), quanto per la rappresentanza, che invece si appresta a ricevere un ulteriore e grave vulnus.
Poi, la notizia dell’esito elettorale in Austria. Un giovane che conquista il potere facendo proprie le peggiori idee nazionaliste, egoistiche e xenofobe della destra estrema. Il rischio di altri muri e di altro filo spinato, e quello di un governo di coalizione in cui potrebbe entrare, a vele spiegate, appunto, la destra estrema. E’ la conferma di quanto andiamo dicendo da tempo, che in Europa c’è uno slittamento verso una destra che non è solo conservatrice, ma peggio, quando addirittura non è una destra nera.
Il guaio è che il problema non è solo austriaco e comunque fornirà elementi di incoraggiamento per tutti i peggiori istinti che serpeggiano per il nostro Continente e per l’Unione europea, che è sempre più divisa e incapace di affrontare i rischi reali che si pongono davanti a tutti i Paesi.
Poi si avvicina (per veneti e lombardi) il voto referendario (inutile e dannoso) per l’ ”autonomia”. Un sondaggio, stamane, rivelava che l’autonomia – almeno in Lombardia – interessa ben pochi. Poi, è solo un referendum consultivo, che peraltro incide sui bilanci di questa Regione per una cinquantina di milioni, davvero spesi male, quando ci sono ben altri problemi e priorità e tante persone (italiane e non) che hanno bisogno di assistenza.
Rimbalza, poi, ancora la notizia che i fascisti romani vogliono fare la manifestazione che hanno preannunciato, con un cattivo gusto incredibile (la “marcia su Roma”) a tutti i costi, anche nonostante i divieti. Qui bisogna essere chiari e netti. Lo Stato ha ritenuto giustamente, che questa manifestazione non si può e non si deve fare; e non può certamente tollerare che la si faccia ugualmente. Altrimenti, si avrebbe un successo dei “dimostranti”, e una squalificazione degli organi dello Stato, che risulterebbero “imbelli” (come molti lo furono all’epoca della nascita del fascismo).
Noi faremo le nostre manifestazioni a Roma e in tutta Italia, con la nostra serenità, e con la nostra volontà di “informazione” e di formazione di cittadini e delle cittadine, che – prima di tutto – devono sapere di che cosa si tratta, cosa è stata la marcia su Roma, cosa è stato il fascismo; e dovrebbero ribellarsi al solo fatto che qualcuno osi richiamarsi ad una vicenda ed una data nefaste.

Insomma, una settimana, che si apre con notizie e fatti che quantomeno metterebbero di cattivo umore il più pacifico ed ottimista dei cittadini. Noi siamo contrari, per principio, al “cattivo umore”. Ci arrabbiamo, è vero, proviamo una profonda sensazione di ripulsa, ma poi reagiamo e facciamo quanto possibile perché le cose cambino. Il nostro lavoro ed il nostro impegno quotidiano, la nostra forza sono fatti di due elementi: il primo è costituto dal costante richiamo ai valori della Costituzione, che sono lì – ben saldi e intangibili – ad indicarci la strada; il secondo è costituito dalla nostra capacità di non arrenderci mai e di riuscire sempre a trasformare anche i momenti peggiori in un rinnovo del nostro impegno civile e politico.
Del resto, ne abbiamo viste tante (il fascismo, l’occupazione tedesca, il dopo guerra, le stragi fasciste, il terrorismo). Non ci siamo arresi ed anzi abbiamo trovato ogni volta la capacità di reagire. Non siamo soli: c’è tanta gente seria in giro, tanto volontariato, tante persone che normalmente si occupano del prossimo e tante che si indignano, magari silenziosamente, contro le nefandezze cui sono costrette ad assistere. Con loro e con i tanti che possono impegnarsi se non per sé per il futuro dei propri figli, troveremo il modo per ricondurre il Paese sui binari giusti, che sono poi quelli della Costituzione, dell’antifascismo e della democrazia. Potrà sembrare utopistico, ma un po’ di utopia ci ha aiutato anche nei momento più difficili e ci ha spinto a reagire. Semmai, dobbiamo fare di più; non basta richiamarsi ai valori della Costituzione ma bisogna pretendere che essa venga compiutamente attuata, rendendo così più democratico questo Paese, ridando a libertà e uguaglianza il senso che a questo binomio attribuirono i Costituenti, restituendo al lavoro il “valore “ che gli spetta, in virtù dell’art. 1, ricordando a tutti le parole più importanti che ricorrono nella Costituzione (scritte, e non) la dignità, il buon governo, la corretta amministrazione, l’etica nella politica ed anche nella vita privata, la democrazia e l’antifascismo.

Si fa presto, volendo, a passare dall’umore nero delle cattive notizie alla convinzione che, impegnandosi, si può cambiare il Paese, e fare in modo che esso diventi davvero quel Paese democratico e antifascista che è disegnato con chiarezza dalla Carta costituzionale e non deve restare confinato, appunto nella Carta. Basta crederci, volere e impegnarsi. Allora si apriranno un altro giorno, un’altra settimana, con auspici, speranze, certezze di ben altro rilievo.

CARLO SMURAGLIA, Presidente dell’Anpi Nazionale da “ANPINews”

 

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W la Costituzione

sana e robusta costituzione

Ancora una volta ha vinto la Costituzione, contro l’arroganza, la prepotenza, la mancanza di rispetto per la sovranità popolare e i diritti dei cittadini. Hanno usato tutti gli strumenti possibili, il denaro, la stampa, i poteri forti, gli stranieri; sono ricorsi al dileggio e alla diffamazione degli avversari, ma il popolo italiano non si è lasciato convincere e ha dato una dimostrazione grandiosa di maturità. Noi che abbiamo fatto una campagna referendaria rigorosa, sul merito, con l’informazione e il ragionamento, siamo felici e orgogliosi di questo successo. Ora finalmente si potrà pensare di attuare la Costituzione nei suoi principi e nei suoi valori fondamentali, per eliminare le disuguaglianze sociali, privilegiare lavoro e dignità della persona, per riportare la serietà, l’onestà e la correttezza nella politica e nel privato. Alle sorti del Governo provvederà il Presidente della Repubblica e noi ci rimettiamo alla sua saggezza. La cosa importante è che riprenda il confronto politico e democratico e che prevalga su ogni altra cosa la partecipazione dei cittadini. Questa è una vittoria anche dell’ANPI, ma soprattutto della democrazia e ripeto, con forza, della Costituzione.

Carlo Smuraglia – Presidente Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

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Difendiamo la Costituzione

difendiamo-la-costituzione2

Alle cittadine e ai cittadini raccomandiamo un voto consapevole e responsabile.

Non si tratta di una legge ordinaria ma della Costituzione, la nostra Carta fondamentale.
Modifiche sbagliate e destinate a non funzionare, così come lo stravolgimento del sistema
ideato dai Costituenti, avrebbero effetti imprevedibili e disastrosi per l’equilibrio dei poteri, per la rappresentanza, per l’esercizio della sovranità popolare, in sostanza per la stessa democrazia, che invece va rafforzata, potenziata e difesa con la piena attuazione della Costituzione repubblicana.

Consapevolmente e responsabilmente, votate NO.

  • Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale ANPI;
  • Susanna Camusso, Segretaria Generale CGIL;
  • Francesca Chiavacci, Presidente Nazionale ARCI.

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