“Fuori si sentono voci tranquille di passanti e grida di bambini. Un terribile pensiero mi prende. Perché mi sono impegnato in questa lotta? Perché sono qui quando tanti più sani e forti di me vivono tranquilli sfruttando la situazione in ogni modo? Ripenso alla mia vita di studio, al mio lavoro su Heidegger interrotto. Perché ho abbandonato tutto questo? Mi ricordo con precisione: una strada piena di sangue e un carro con quattro cadaveri vicino al Mussotto. Il cantoniere che dice: – È meglio morire che sopportare questo -. Sì è allora che ho deciso di gettarmi allo sbaraglio. Avevo sempre odiato il fascismo ma da quel momento avevo sentito che non avrei più potuto vivere in un mondo che accettava qualcosa di simile, fra gente che non insorgeva pazza di furore, contro queste belve. Una strana pace mi invade l’animo a questo pensiero. Ripeto dentro di me: «Non potevo vivere accettando qualcosa di simile. Non sarei più stato degno di vivere». Ripenso al capitano Viane poi a Memmo Guerraz. Mi pare che Vian monti un gigantesco cavallo bianco e che scenda da Boves verso il piano. Tutti lo guardano dicendo: – È Vian, è il capitano Vian -.”
– da “Banditi” di Pietro Chiodi, edizioni Einaudi.
Nella foto il pane inciso da Ignazio Vian, come ultimo messaggio alla famiglia, prima di venire ucciso.
Nella giornata del ricordo…..un ricordo
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