LA RIFORMA COSTITUZIONALE,IL FUMO E L’ARROSTO

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In questi giorni sulla riforma costituzionale e sulla nuova legge elettorale si sta spandendo una colossale quantità di fumo. Arriviamo, per favore, all’arrosto. Senza “se” e senza “ma”.

Con la nuova legge elettorale e con la riforma della Costituzione il partito che supera il 40% dei voti avrà il 54% dei seggi. Se nessun partito supera il 40% dei voti si va al ballottaggio. Chi vince ha comunque il 54% dei seggi. Questo vuol dire, per esempio, che un partito che ha avuto alle elezioni il 29% dei voti e poi ha vinto il ballottaggio, avrà il 54% dei seggi della Camera, pari a 340 sul totale di 630. A tutti gli altri partiti, il cui totale, nell’esempio, è pari al 71% dei voti, spetta il 46% dei seggi, pari a 290 seggi.

Questo partito che ha vinto il ballottaggio, forte del suo 54% dei seggi, formerà il governo (potere esecutivo), ma siccome ha la maggioranza assoluta alla Camera, potrà decidere tutte le leggi (potere legislativo), perché il Senato avrà funzioni del tutto marginali. Sempre grazie al suo 54% dei seggi, eleggerà il Presidente della Camera (che diventa con la riforma la seconda carica dello Stato) e tutti i Presidenti delle Commissioni parlamentari; non solo: avrà il potere di modificare il Regolamento della Camera e perciò di scrivere lo Statuto delle opposizioni. Inoltre, forte della sua maggioranza, avrà, in base al nuovo art. 78, il potere di dichiarare lo stato di guerra. Avrà poi un potere largamente determinante nella elezione del Presidente della Repubblica, eletto dal Parlamento in seduta comune, ma con un Senato di soli 100 membri, e nell’elezione di un terzo del Consiglio Superiore della Magistratura.

Insomma, una concentrazione di potere mai vista nel nostro Paese dai tempi della Liberazione, senza contrappesi. Ecco perché è una questione di democrazia.
Immaginate queste nuove “regole” nella concretezza della politica dopo il voto: o vince il PD, o vince 5Stelle o vince la destra. Voi consegnereste tutto il potere ad una sola di queste forze politiche e di conseguenza ad un solo premier la cui parola – letteralmente – diventerebbe legge?

di Gianfranco Pagliarulo

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