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A Milano l’estrema destra assedia il Giorno della Memoria.

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January 22, 2016

Che l’antifascismo non fosse più una cosa scontata lo sapevamo già, ma che ormai sia venuto meno anche un minimo di pudore è senz’altro un dato da evidenziare. Già, perché a Milano il Giorno della Memoria (27 gennaio) sta per essere letteralmente assediato da iniziative dell’estrema destra. Domenica 24 si tiene il convegno organizzato da un network europeo di ispirazione nazifascista, che comprende, oltre la nostrana Forza Nuova, anche organizzazioni come i tedeschi della Npd o quella banda di delinquenti che è la greca Alba Dorata. Il 28 e il 29 gennaio, poi, è il turno del fascioleghismo in salsa europea, con un evento che prevede il lancio ufficiale in Italia della coppia Salvini-Le Pen. E tutto questo senza che a livello istituzionale si siano ad oggi registrate reazioni degne di nota. Insomma, come se ormai valesse tutto.

Il Giorno della Memoria è sicuramente una commemorazione dai contorni molto istituzionali e quindi poco adatta a stimolare coinvolgimento e mobilitazione, ma è pur sempre il giorno in cui si ricorda la più grande infamia della storia del nostro continente, cioè l’Olocausto, il genocidio di ebrei e rom, lo sterminio dei popoli “non ariani, gli  “untermenschen”, degli omosessuali, dei disabili, degli oppositori politici. Per questo si tratta di un giorno che dovrebbe di per sé tenere alla larga nazisti, fascisti, razzisti, antisemiti, xenofobi, omofobi e simili. Dovrebbe, appunto, ma evidentemente non è più così.

Il convegno del 24 gennaio è organizzato dalla rete nazifascista europea “Alliance for Peace and Freedom” (Apf) e inizialmente doveva tenersi alle Stelline, ma l’intervento dei movimenti antifascisti e dell’Anpi, che si è portata dietro un po’di sinistra politica e sociale, ha fatto saltare la location. Hanno poi provato in Regione, ma è andata male anche lì, un po’ perché gli alleati della Lega si chiamano Casa Pound e non Forza Nuova e un po’ perché Maroni è già impegnato in altre edificanti battaglie, come quella di riuscire a trascinare il gonfalone di Regione Lombardia al Family Day. Quindi, finirà come al solito, cioè il convegno si terrà in un albergo milanese (ancora sconosciuto), grazie alla gentile intermediazione della Questura.

In ogni caso, non solo le reazioni da parte delle istituzioni del territorio, come il Comune (e gli stessi aspiranti sindaci) o la Regione (ma qui stendiamo un velo pietoso), sono state finora al di sotto del minimo sindacale, ma addirittura ci sono rappresentanti istituzionali che partecipano in prima persona al convengo del 24. A parte la grottesca consigliera regionale Baldini (a suo tempo eletta nella Lista Maroni), le locandine annunciano persino la presenza del ciellino ed ex Ministro Mario Mauro a fianco del capo di Forza Nuova.

Contro il convegno nazifascista il Comitato Permanente Antifascista ha organizzato un presidio per domenica mattina alle ore 10.00 alla Loggia dei Mercanti. Per ora ci risulta essere l’unica iniziativa in campo.

Il 28 gennaio alle 18 si terrà invece il convegno promosso dal gruppo parlamentare europeo di estrema destra, “Europa delle Nazioni e della Libertà”, costituito tra gli altri dalla Lega e dal Front National. Salvini questa volta non ha osato la piazza e tutto si svolgerà al chiuso (si entra solo con prenotazione), in una sala di Milano Congressi in FieraMilanoCity. È prevista la presenza di numerosi parlamentari europei e soprattutto dei capi dei principali partiti dell’estrema destra istituzionale del continente, a partire da Marine Le Pen. Alcuni rumours parlano anche della possibile presenza di deputati omofobi del partito di Putin. In altre parole, sarà il lancio politico, rivolto anzitutto alla stampa nazionale (conferenza stampa il 29 mattina), del fascioleghismo come opzione di governo, nazionale e continentale, e la conferma pubblica e definitiva della collocazione della Lega nell’alveo della destra radicale e xenofoba europea.

Con l’aria che tira in Europa e mentre anche qui da noi razzisti e xenofobi soffiano quotidianamente sul fuoco, se non peggio, sarebbe davvero incomprensibile se il progetto della coppia Salvini-Le Pen non incontrasse a Milano una voce contraria. Per questo diverse realtà, unite nella firma Milano Antifascista, Antirazzista e Meticcia, hanno indetto un corteo per giovedì 28 gennaio, con partenza alle h. 18 aPagano. Nell’evento fb www.facebook.com/events/768303223281523/ trovate le info e gli aggiornamenti.

Per la mattina del 29 gennaio è previsto, inoltre, un corteo degli studenti, con partenza alle h. 9.30 da Cairoli. 

di Luciano Mulhbauer.

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Una firma contro il fascismo

Domenica 24 dicembre dalle ore 9:00 alle 12:00 a Senago in piazza A. Moro, 
saremo presenti con un banchetto per raccogliere le firme.
 

 

Si chiede l’immediato scioglimento di tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste, da Forza nuova a Casa Pound a Lealtà Azione alla Comunità militante dei dodici raggi e consimili, che traggono ispirazione dal passato ventennio mussoliniano come dal nazismo e che assumono come modelli di riferimento organizzazioni terroristiche e antisemite dello scorso secolo, come la Guardia di Ferro rumena e Le croci frecciate ungheresi.
Diversi esponenti di questi stessi raggruppamenti sono stati in questi anni protagonisti di atti apologetici del fascismo, violenze gravissime, spesso a sfondo razziale, e per queste ragioni condannati dalla giustizia ordinaria.
La volontà da parte di dette formazioni di ricostituire nel presente il partito fascista, contravvenendo alla legge, è un dato inconfutabile.
La stessa Corte di Cassazione, l’8 gennaio 2010 (sentenza 19449 Quinta sezione penale), riguardo Forza nuova, ribadiva la natura «nazifascista»dell’organizzazione.
Si richiede altresì da subito il divieto alle organizzazioni citate di poter accedere a spazi pubblici, all’aperto o al chiuso, per manifestazioni, convegni, concerti, raccolta firme o altre attività a fini propagandistici.

Anpi Senago

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Fascisti anche a Senago

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Come era ampiamente prevedibile, visto il clima che si respira in tutto il paese, anche Senago ha visto la comparsa di elementi fascisti sul proprio territorio

Preceduti una settimana prima da manifesti abusivi, nella mattina di domenica 22 novembre, in piazza Dalla Chiesa, l’organizzazione di estrema destra Forza Nuova ha potuto tranquillamente e sfacciatamente occupare il suolo pubblico con un gazebo e distribuire volantini che propagandavano idee razziste e xenofobe.

Un anno e mezzo fa, con facile preveggenza, Anpi Senago, Rete Antifascista Nord Ovest Milano e Sinistra Senago presentarono al Consiglio Comunale di Senago la richiesta di approvare un dispositivo antifascista che individuasse strumenti per prevenire il riemergere di forze che si richiamano a ideologie fasciste, razziste e xenofobe. La richiesta fu trasformata in mozione da parte di SEL.

Ma in Consiglio Comunale la minoranza (Lega Nord, Forza Italia e Vivere Senago), con l’appoggio di alcuni elementi della maggioranza, si oppose alla mozione antifascista e ne causò il ritiro e la bocciatura.

La Lega Nord dichiarò in quell’occasione che “non vi sono fascisti a Senago”.

Ecco, oggi è arrivata la smentita.

E’ intollerabile che organizzazioni che si richiamano a ideologie che vanno contro i valori ed i principi democratici espressi nella nostra Costituzione possano impunemente propagandare odio e rancore.

Anpi Senago, Rete Antifascista Nord Ovest Milano e Sinistra Senago faranno tutto quanto è possibile affinché queste organizzazioni non possano più operare sul nostro territorio.

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Il neofascismo e lo Stato: breve cronaca di un assurdo.

Forte contrasto dell’ANPI e dei Sindaci alla manifestazione di CasaPound; ma alla fine lo Stato non interviene.

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E’ nei primi giorni del mese che si viene a sapere di due iniziative: una “tre giorni” promossa da Forza Nuova a Cantù; la festa di CasaPound a Milano. “Anche questo 2015, il Campo Solare di Cantù vedrà le bandiere di Fn stagliarsi nel cielo settembrino”, recita il blog milanese dell’organizzazione di estrema destra.

CasaPound, non da meno, promuove la sua iniziativa negli stessi giorni: dall’11 al 13 settembre.

La reazione antifascista è immediata: il Presidente dell’Anpi nazionale Carlo Smuraglia scrive alle più alte cariche dello Stato chiedendo un intervento immediato perché Milano, Medaglia d’Oro alla Resistenza, non subisca l’oltraggio, l’Anpi di Milano promuove per l’11 settembre un presidio alla Loggia dei Mercanti, il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia pone il veto alla manifestazione dei “fascisti del 2000”.

In fuga da Milano, quelli di CasaPound chiedono ospitalità a Castano Primo, in provincia della metropoli lombarda, ma lo fanno per interposta associazione sportiva di copertura, sicché il Sindaco, ignorando la natura dei sedicenti festaioli, concede l’area. Ma quando, poco dopo, scopre l’arcano, dichiara: “siamo stati raggirati”. E, a sua volta, ritira il permesso. Intanto l’Anpi promuove un presidio di protesta anche a Castano Primo. Siamo al 12 settembre. Il Prefetto conviene col Sindaco di Castano.

Intanto il Presidente del Senato Laura Boldrini risponde alla lettera di Smuraglia dichiarando la sua impotenza dal punto di vista istituzionale, ma concordando pienamente dal punto di vista politico con le posizioni dell’Anpi.

Dopo tutto ciò, davanti alle iniziative dell’Anpi nazionale e Milanese, davanti al netto rifiuto dei due Sindaci, davanti al rigetto generalizzato dell’opinione pubblica, CasaPound, minacciando improbabili occupazione di Piazza Duomo a Milano, svolge comunque la sua festa a Castano Primo davanti ad un nutritissimo schieramento di forze dell’ordine che, però, non fanno nulla per impedire lo svolgimento – pur vietato – della manifestazione. Non c’era – va da sé – l’ordine di intervenire.

A questo punto ci si chiede come mai, davanti ad una conclamata, reclamata e ostentata violazione dei divieti da parte dell’organizzazione neofascista, il Ministro dell’Interno, ma più in generale lo Stato, non abbia risposto, se non in modo tremolante e subalterno.

da Patria Indipendente. (periodico dell’Anpi Nazionale)

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Il settembre nero della Lombardia

Fascismi. Forza Nuova a Cantù, Casa Pound a Milano: due raduni tra antisemismo e concerti nazi. La risposta antifascista

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L’hanno già ribat­tez­zato «il set­tem­bre nero» della Lom­bar­dia. Due gli appun­ta­menti, in con­tem­po­ra­nea, da venerdì 11 a dome­nica 13 set­tem­bre a Cantù e a Milano. Il primo è pro­mosso da Forza nuova, un mee­ting inter­na­zio­nale, il terzo dopo quelli del 2013 e 2014, che ave­vano visto la par­te­ci­pa­zione di espo­nenti di for­ma­zioni di estrema destra, neo­na­zi­ste e ultra­cat­to­li­che pro­ve­nienti da diversi paesi euro­pei, dal Bri­tish natio­nal party alla spa­gnola Demo­cra­cia Nacio­nal all’Hivm unghe­rese alla fran­cese Jeune nation.

Quest’anno è già stato pre­an­nun­ciato, tra gli ospiti, l’arrivo di una dele­ga­zione di Rina­scita nazio­nale polacca (Naro­dowe odro­d­ze­nie pol­ski), la più vec­chia tra le for­ma­zioni della destra radi­cale di que­sto Paese, legata al cir­cuito di Blood and Honour, il cui sim­bolo è stato ripreso da una for­ma­zione anti­se­mita degli anni Trenta, la Falange nazional-radicale. Lo slo­gan che ulti­ma­mente con­trad­di­stin­gue il Nop non lascia spa­zio ad equi­voci: «Fasci­smo? Noi siamo peggio!».

L’anno pas­sato i dibat­titi si erano prin­ci­pal­mente incen­trati sull’immigrazione con­tro lo Ius soli, oltre che con­tro l’aborto e l’omosessualità in difesa della fami­glia tra­di­zio­nale. Ora, con un mani­fe­sto che rimanda gra­fi­ca­mente al mito delle Ter­mo­pili, dal titolo «300 per l’Italia. For­giare le armi per le bat­ta­glie di oggi e di domani», si vira più verso uno stage di for­ma­zione interna.

Il luogo è sem­pre lo stesso, il «Campo solare», una strut­tura comu­nale messa a dispo­si­zione dal sin­daco Clau­dio Biz­zo­zero, a guida di una giunta com­po­sta da liste civi­che che nella pri­ma­vera del 2012 riu­sci­rono a pre­va­lere su tutti gli altri schie­ra­menti. Un sin­daco che è riu­scito, dando spa­zio ai fasci­sti, a con­qui­starsi indubbi momenti di noto­rietà. Anche in que­sta occa­sione, come in pas­sato, por­terà, ne siamo certi, il ben­ve­nuto dell’amministrazione comu­nale ai par­te­ci­panti della tre giorni di Forza nuova, ina­nel­lando spro­lo­qui circa la libertà di pen­siero, magari facen­dosi nuo­va­mente foto­gra­fare sotto una grossa croce cel­tica uti­liz­zata come inse­gna del festival.

La vera novità, a dif­fe­renza degli anni pre­ce­denti, è rap­pre­sen­tata dal fronte anti­fa­sci­sta che è andato a costi­tuirsi su un appello comune dal titolo «No al festi­val neo­na­zi­sta a Cantù», amplis­simo e tra­sver­sale, com­po­sto da mol­tis­sime sezioni dell’Anpi, che hanno ade­rito anche a livello regio­nale e nazio­nale, da diversi par­titi poli­tici (Pd, Prc, Pdci e Sel), dalle prin­ci­pali orga­niz­za­zioni sin­da­cati (Cgil, Cisl, Uil e Usb) e da mol­tis­sime asso­cia­zioni. Più di due­cento, al momento, le ade­sioni collettive.

Una rispo­sta che ha pun­tato a sen­si­bi­liz­zare la cit­ta­di­nanza, costretta ancora una volta a tol­le­rare la pre­senza di cen­ti­naia di neo­fa­sci­sti guar­dati a vista da plo­toni di poli­ziotti in tenuta anti­som­mossa, con prese di posi­zione, comu­ni­cati, volan­ti­naggi ai mer­cati, inter­ro­ga­zioni par­la­men­tari. La mobi­li­ta­zione sfo­cerà alla fine, sabato 12, in una pub­blica assem­blea nella sala del con­si­glio comunale.

Il secondo appun­ta­mento, a Milano, sarà invece orga­niz­zato da Casa Pound che qui vor­rebbe tenere il suo festi­val nazionale.

Il luogo è ancora rigo­ro­sa­mente tenuto segreto. Si sa di richie­ste per svol­gere parte delle ini­zia­tive nelle strut­ture di alcuni comuni della pro­vin­cia. Richie­ste avan­zate da asso­cia­zioni col­la­te­rali a Casa Pound. Secondo le pre­vi­sioni dovreb­bero comun­que con­fluire almeno due­mila persone.

Nel pro­gramma fatto fil­trare, in evi­denza la serata del 12 con un con­certo nazi-rock (in car­tello i Zeta­ze­roalfa, i Driz­za­torti e i Ddt, con il sim­bolo dell’organizzazione nazi­sta Todt appron­tata nel secondo con­flitto mon­diale per costrin­gere al lavoro coatto nei ter­ri­tori occu­pati), men­tre il giorno pre­ce­dente il clou sarebbe rap­pre­sen­tato da uno spet­ta­colo di bur­le­sque con cena su pre­no­ta­zione. Siamo sul vol­gare andante. Nulla al momento si cono­sce dei dibat­titi e degli ospiti invitati.

Dopo Lecce, dove si tenne l’edizione pre­ce­dente, con scor­ri­bande in città di teste rasate, aggres­sioni, risse e arre­sti (tra l’altro anche di diri­genti mila­nesi), si è alzato un certo allarme.

L’amministrazione comu­nale mila­nese per bocca del suo asses­sore alla sicu­rezza, Marco Gra­nelli, ha espresso il no della giunta Pisa­pia e ha chie­sto la con­vo­ca­zione urgente in pre­fet­tura del Comi­tato per l’ordine e la sicu­rezza. Secondo indi­scre­zioni que­stura e pre­fet­tura sareb­bero orien­tate a spo­stare l’evento fuori città.

Il pre­si­dente nazio­nale dell’Anpi, Carlo Smu­ra­glia, ha scritto al Governo, al Pre­si­dente della Repub­blica Ser­gio Mat­ta­rella e ai pre­si­denti di Camera e Senato, per invi­tare le «isti­tu­zioni demo­cra­ti­che» a porre un limite al dila­gare di que­ste manifestazioni.

Le rea­zioni dei gior­nali di destra («Libero» e «Secolo d’Italia») sono state tanto imme­diate quanto vio­lente e offen­sive nei con­fronti dei «pen­sio­nati dell’Anpi», in difesa dei «bravi ragazzi di Casa Pound» che si occu­pano di «poli­tica, cul­tura, soli­da­rietà e sport», dimen­ti­chi del numero ormai esor­bi­tante di con­danne, anche recen­tis­sime, di nume­rosi loro espo­nenti per atti vio­lenti gra­vis­simi. L’ultimo in luglio a Viterbo con pene da quat­tro a tre anni di car­cere a quat­tro diri­genti per un raid squa­dri­stico ai danni di gio­vani dei cen­tri sociali.

Il fatto è che Milano e la Lom­bar­dia si con­fer­mano come la città e la regione più «nere» d’Italia. Impres­sio­nante l’elenco di con­ve­gni, con­certi, raduni neo­na­zi­sti, spesso a carat­tere inter­na­zio­nale, degli ultimi due-tre anni.

Quasi impos­si­bile ricor­darli tutti, dal con­certo del 20 aprile 2013 a Mal­nate (Varese) per il com­pleanno di Adolf Hitler a quello del 15 giu­gno dello stesso anno a Rogo­redo (un quar­tiere di Milano), pro­mosso dagli Ham­mer­skin con neo­na­zi­sti da tutta Europa, al con­ve­gno mila­nese di Casa Pound con Alba dorata del 15 marzo 2014, al 1° novem­bre, con l’ennesimo con­certo nazi nei pressi di Trez­zano, con arrivi da Ger­ma­nia, Austria e Fin­lan­dia. E già si pre­para un nuovo appun­ta­mento, l’Hammerfest 2015, per la fine di novembre.

Sarebbe dav­vero ora di met­tere la parola fine.

di Saverio Ferrari, Marinella Mandelli da “Il Manifesto”

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A Roma e Treviso sono stati episodi di fascismo

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Ieri e oggi dei gruppi – gruppuscoli – di persone hanno protestato in provincia di Treviso e a Roma contro la decisione di accogliere alcune decine di profughi nelle strutture messe a disposizione del ministero dell’interno: hanno improvvisato dei roghi di mobili e blocchi stradali, hanno tirato dei sassi contro i migranti, hanno provato a forzare i cordoni di protezione della polizia. Non erano più di un centinaio in entrambi i casi, molti appartenevano a CasaPound.

I mezzi d’informazione hanno parlato di “esasperazione”, di “guerra tra poveri”, di “comitati spontanei di cittadini”, di “rabbia”. I politici hanno commentato con le dichiarazioni prevedibili. Matteo Salvini ha detto: “Accoglieteli in prefettura o a casa vostra, se proprio li volete”; il responsabile sicurezza del Partito democratico, Emanuele Fiano: “Il governo e la maggioranza sono impegnati con l’Europa e con le proprie forze per accogliere chi richiede asilo in Italia fuggendo da paesi dove è sottoposto a persecuzioni o a rischio di morte, ed è contemporaneamente al lavoro per rimpatriare chi si trova in condizione di clandestinità”.

Basta dare un’occhiata ai filmati per vedere i manifestanti che urlano insulti o che alzano il braccio destro per fare il saluto romano e capire una cosa semplice: questi sono stati due episodi di fascismo e squadrismo.

Eppure quasi nessuno lo dice, sembra un anacronismo, una forzatura o addirittura un insulto. E si preferisce, nei migliori dei casi, parlare di destra reazionaria o al massimo di xenofobia. Non si pensa che a contrastare i manifestanti fascisti possa essere usata una chiara motivazione antifascista e la rivendicazione di valori e regole democratiche; al massimo si fa appello al senso di solidarietà, al rispetto, al dovere morale dell’accoglienza.

Perché non si usano le categorie del fascismo e dell’antifascismo? Eppure ogni volta che a scuola si leggono – come per esempio nella Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu – le cronache dei primi anni venti italiani, gli assalti delle squadracce ai luoghi della democrazia (le sedi dei sindacati, le università, i comizi…) – ci si rende conto facilmente di come funziona l’accreditamento e la diffusione del fascismo: lo si sottovaluta, lo si riduce a questione di ordine pubblico, si delegittima il contrasto antifascista.

Lo stesso accade oggi. I politici, anche quelli che meritoriamente vanno a rendere omaggio alle Fosse ardeatine o twittano il 25 aprile per la Liberazione, non si azzardano a farsi sentire, a intervenire quando accadono questi episodi – e lasciano che a fornire un’interpretazione di quello che succede siano personaggi impresentabili come Simone Di Stefano, vicepresidente di CasaPound, o Matteo Salvini.

A rivendicare l’antifascismo rimangono quelli che – per l’assenza della politica e per la derubricazione poliziesca della questione – sono “gli attivisti”, come quelli che ieri sono stati sgomberati a Treviso dopo aver messo su un presidio di solidarietà ai migranti.

E invece sarebbe molto utile leggere proteste di questo tipo alla luce di categorie come il fascismo. Ci si vedrebbe dentro un’idea di nazione mai maturata democraticamente, un problema culturale che riguarda l’uso pubblico della storia, un razzismo che prova a darsi basi ideologiche, la crisi degli ideali sociali, la demagogia, un neocolonialismo accattone, il maschilismo ridicolo, e ancora di più la miserabile tattica politica di chi vuole guadagnare consensi con la violenza contro i poveri.

Stigmatizzare il degrado civile di queste proteste in nome dell’antifascismo servirebbe a ribadire che la politica è di fatto anche educazione, e che spesso solo attraverso quest’opera di contrasto possono avvenire le grandi trasformazioni sociali.

Christian Raimo da “Internazionale”

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Il governo “fascista” di Tambroni del luglio 1960, la reazione popolare, i caduti e gli insegnamenti della vicenda.

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Ricorre proprio oggi il 55° anniversario degli eventi del luglio 1960, quando, a fronte della formazione di un Governo presieduto dal democristiano Tambroni e appoggiato anche da appartenenti al Movimento Sociale Italiano (cioè da fascisti, per chi non conosce o non ricorda quella vicenda) gran parte della popolazione italiana insorse.

La CGIL di Reggio Emilia dichiarò uno sciopero generale e vi furono grandissime manifestazioni in molte città, purtroppo contrastate da violente cariche della polizia, con risultati nefasti soprattutto a Reggio Emilia (5 morti) a Palermo (4 morti e decine di feriti), a Catania (un morto), a Licata e altrove.

Questo anniversario deve consacrare il ricordo imperituro di quei martiri e soprattutto dei più noti, a livello nazionale ( a loro sono state dedicate una poesia e una canzone) i cinque di Reggio Emilia (Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Afro Tondelli, Emilio Reverberi), i feriti di Reggio Emilia, (non solo quelli portati negli ospedali, ma anche quelli che le ferite se le curarono a casa per non farsi identificare) e quelli di Palermo, (che si ricorderanno domani in una grande manifestazione antifascista), quelli di Catania, di Licata, vittime di una violenza poliziesca, che non fu spontanea ma organizzata e in qualche modo determinata dal Governo.

Ma accanto al doloroso ricordo, come sempre, si impone la riflessione.

Anzitutto sul tentativo, allora inedito, di comporre un Governo con personaggi dichiaratamente fascisti. Fu una delle tante prove per contrapporsi alla volontà popolare che si opponeva a governi di destra ed ancora di più a “governi fascisti”. Il fatto era gravissimo, di per sé e giustamente come tale fu accolto; così come fu ritenuta una vera e propria provocazione la convocazione di un Congresso del MSI, in quel periodo, proprio a Genova, città da sempre antifascista e medaglia d’oro della Resistenza.

La reazione fu dunque molto forte e contemporanea in varie città. Solo a Reggio Emilia, si parla di circa ventimila persone in piazza; ma altrettante ce ne furono a Genova, a Roma, a Palermo.

Dunque, un moto popolare grandioso, a fronte del quale il Governo Tambroni fu costretto a dimettersi, riconoscendo il fallimento di quell’ignobile tentativo.

Va anche considerata la gravità della reazione poliziesca, indotta, peraltro, da una dichiarazione improvvida del Presidente Tambroni, che consentiva di aprire il fuoco “in situazioni di emergenza”. Bastò questo per mobilitare la Celere, che da Padova si recò a Reggio Emilia, appositamente per contrastare la manifestazione e che si comportò secondo la “direttiva” del Governo: si sparò, e si sparò ad altezza d’uomo; si sparò con una violenza inaudita (centinaia di colpi di mitra, di moschetto e di pistola). Non mancarono le conseguenze, anche giudiziarie, che investirono le responsabilità sia di alcuni esponenti della polizia, sia di un certo numero di manifestanti, accusati di aver scagliato pietre contro le forze dell’ordine.

Ci fu un processo, per i fatti di Reggio Emilia, trasferito a Milano per “legittima suspicione”; il processo si protrasse a lungo, seguito attentamente e in modo continuativo da tanti cittadini e compagni di Reggio Emilia che, ogni giorno, si trasferivano a Milano. Ma i risultati, se furono in qualche modo accettabili per quanto riguarda i manifestanti imputati, furono assolutamente negativi perché gli esponenti delle Forze dell’Ordine – ritenuti responsabili, anche sulla base di alcune foto e di varie testimonianze – furono pienamente assolti.

Resta dunque la memoria storica della vicenda e soprattutto di quel grande moto di rivolta antifascista di intere città, contro lo scandaloso Governo promosso da Tambroni; un moto che deve esserci di monito, per essere sempre pronti a reagire quando dalle manifestazioni pur plateali di fascisti (da contrastare sempre) si passa addirittura alla formazione di Governi autoritari; o quando la sfida alla democrazia viene portata ad un livello troppo alto, perché non si faccia di tutto per sconfiggerla (basta ricordare la strage di Piazza Fontana, a Milano, di netta marca fascista e la reazione immediata dei lavoratori di Sesto San Giovanni e di Milano che espressero, in occasione dei funerali delle vittime, la loro chiara convinzione sull’origine di quel massacro e la loro ferma opposizione ad ogni tentativo di stravolgere con la violenza la democrazia nel nostro Paese).

Tutto questo verrà ricordato oggi, a Reggio Emilia, domani a Palermo e in altre città; ma va fatto conoscere e considerato come un ammonimento per ciascuno di noi, perché i pericoli sono sempre alle porte e dunque bisogna essere vigilanti e pronti.

Devo aggiungere che ho personalmente partecipato, come avvocato di parte civile, al processo di Milano per i fatti di Reggio Emilia ed unisco al ricordo affettuoso dei caduti e dei loro familiari, quello della meravigliosa solidarietà che allora fu manifestata da tanti cittadini di Reggio Emilia, non solo con l’intervento pressoché quotidiano alle udienze, ma anche con l’appoggio e l’assistenza ai difensori, in mille altre forme, che rivelavano una straordinaria partecipazione ed una particolarissima sensibilità politica.

Anche questa è la lezione di allora, tanto più valida e forte quanto più vengono alla luce, in questa fase disgregata della vita nazionale, egoismi, personalismi, indifferenza e rassegnazione.

Questo ci dicono le vicende di 55 anni fa; non dimentichiamo né i caduti, né tanto meno gli insegnamenti che da esse devono essere tratti; e facciamoli conoscere a chi si affaccia ora alla vita associata e alla così detta “cittadinanza attiva”.

Carlo Smuraglia  Presidente Nazionale ANPI

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Lega e Forza Italia al raduno neofascista per scalare Palazzo Marino

Due giorni con tutte le sigle di destra per trovare l’alleanza in vista delle comunali del 2016. Tutti ospiti del gruppo nostalgico del Ventennio Lealtà e Azione. Tra dibattiti, concerti nazirock e testi razzisti.

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L’obiettivo è ambizioso: unire tutte le sigle, gli uomini, le forze e le storie di destra-destra di Milano per tentare la scalata a Palazzo Marino. L’occasione è la «festa del Sole» del prossimo week-end: due giorni alle porte della metropoli lombarda per trovarsi e discutere di strategie condivise.

Il sole è il «sole nero» di Julius Evola diventato simbolo e mistica dei nazisti e logo della «comunità militante dei dodici raggi», gruppo neonazista del varesotto , tra gli organizzatori del compleanno di Hitler lo scorso aprile .

«A pochi giorni dal solstizio d’estate perché questa data nel 1922 fu scelta da alcuni membri dei Freikorps per assassinare a Berlino il ministro ebreo della Repubblica di Weimar Walter Rathenau. I significati non mancano nella retorica neofascista: c’è il  «Sole che sorgi libero e giocondo», l’inno musicato da Puccini diventato un simbolo del Ventennio fascista e i riti druidici della “Festa del Sole” di Stonehange» spiegano dall’osservatorio sulle nuove destre.

I padroni di casa sono i militanti di Lealtà e Azione che lo scorso 25 aprile, nel settantesimo anniversario della resistenza, si trovarono in trecentocinquanta con il vessillo con l’aquila argentea della Repubblica sociale italiana al campo 10 del Cimitero Maggiore, dove sono sepolti in mille tra caduti della Rsi e i volontari italiani delle Ss.

Un luogo simbolo per i fascisti del terzo millennio da onorare con bandiere, corone di fiori, saluto romano e commemorazioni che grondano di revisionismo.

«Quest’anno abbiamo voluto invitare persone con le quali in questi anni si è instaurato un rapporto personale – spiega il leader di Lealtà e Azione Fausto Marchetti–  Persone con cui, al di là delle reciproche appartenenze, abbiamo condiviso una parte del nostro percorso di comunità in marcia: con alcuni magari perché un comune interesse ci ha spinto a fare qualche iniziativa insieme, con altri perché condividiamo un comune modo di sentire, di intendere la vita».

Ora tutti insieme si ritrovano leghisti, azzurri, ex missini e neofascisti. Tra gli invitati al convegno di venerdì «Quale futuro?» ecco Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound Italia e responsabile del progetto Sovranità.

Alle ultime elezioni come candidato governatore in Umbria ha raccolto un misero 0,66 per cento (appena 2.343 voti) ma il patto di ferro con Matteo Salvini e le proteste contro i migranti lo tengono sempre sulla cresta dell’onda mediatica.

Fianco a fianco con Carlo Fidanza, una lunga militanza in Azione Giovani, poi europarlamentare nella scorsa legislatura, e tra i fondatori di Fratelli d’Italia, il salviniano doc Igor Iezzi, consigliere comunale e segretario provinciale della Lega (fresco di patteggiamento per aver autenticato per le elezioni regionali del 2013 firme false per la Destra di Storace) e infine Giulio Gallera, consigliere regionale di Forza Italia e sottosegretario con delega ai rapporti con la città metropolitana del Pirellone.

Seduti attorno allo stesso tavolo con Guido Giraudo, già dirigente del Fuan, organizzatore dell’associazione Lorien e dei Campi Hobbit, cultore del “rock identitario” o “musica non conforme”, ossia dei concerti delle band di estrema destra che furoreggiano in Lombardia, e frequentatore dei riti di commemorazione dei gerarchi fascisti e repubblichini al Campo 62 del cimitero di Monza.

Padrone di casa Fausto Marchetti, capo degli ultras di destra delle Sab (Sempre al bar) della squadra di calcio del Monza e responsabile delle attività sociali di Lealtà azione.

Sullo sfondo l’accordo tra Silvio Berlusconi e il leader leghista Matteo Salvini che questa settimana a cena hanno trovato la sintesi politica: appoggio ad un leghista per la poltrona di sindaco e compattare il fronte della destra per replicare la vittoria in Liguria dove tutti insieme hanno sconfitto la candidata renziana Raffaella Paita.

I temi che aggregano non mancano: no allo straniero, No all’euro, No al governo Renzi, No alle moschee. No insomma ad ogni tentativo di trasformare la destra in una forza politica moderna.

Un fronte identitario che abbraccia il modello lepenista francese e fa leva sulla rabbia e la rivolta del popolo contro un nemico comune che toglie sempre qualcosa ai cittadini «puri»: la casa, il lavoro, la religione, la cultura e perfino le tradizioni culinarie.

Scaricando sull’Europa i mali della globalizzazione, l’impotenza della politica, le disuguaglianze sociali.  Il sogno è combattere i nemici con la mano pesante: divisioni delle classi tra alunni stranieri e non, negazione dei diritti, zero welfare e rimpatri immediati per chi non è italiano.

Idee ricorrenti anche nei testi delle band che il giorno dopo (in una località segreta per evitare contestazioni) si ritroveranno per l’immancabile concerto nazirock: star sarà Norberto Scordo, ex giocatore di football americano, militante di Base Autonoma (sciolta nel 2001 secondo la legge Mancino per istigazione all’odio razziale), leader degli Hammerskin, condannato per l’aggressione del 1992 a due militanti del centro sociale Leoncavallo.

Sul palco anche i Testudo, Bullets, Malnatt con i testi che richiamano la terra nemica, il sistema anti-Stato, la rabbia, il coraggio, il mito dei legionari e la guerra come epopea di ardite gesta e tempi gloriosi.

Michele Sasso da “L’Espresso”

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Radiografia dell’estrema destra europea

No nazi
 Quando consideriamo il panorama politico dell’Europa – immaginando i volti propositivi che il «gigante economico» assumerà negli scenari mondiali – non dovremmo trascurare la presenza strutturata di una destra estrema che si pone oltre i conservatori di Juncker e Merkel e offre un mix ideologico capace di aver presa sugli strati popolari.

Non ci riferiamo soltanto a forze euroscettiche e discretamente xenofobe come l’Ukip di Nigel Farage, vincitore delle recenti elezioni europee in Gran Bretagna (27,7%, primo partito), che ha costituito il gruppo parlamentare con il M5S italiano. Pensiamo soprattutto a una destra che ha radici neofasciste e neonaziste, o che dialoga con i neofascisti, li assimila, ne condivide i motivi ispiratori, dal nazionalismo all’antieuropeismo, alle teorie del complotto, alla xenofobia con esplicite venature razziste. Nel parlamento di Strasburgo siedono nove di tali partiti, senza contare gli altri che, non rappresentati nell’assise europea, hanno rilievo nei rispettivi paesi.
Si suole opportunamente distinguere fra l’estrema destra dell’Europa occidentale e quella dei paesi ex sovietici.

La prima ha attuato un’operazione di restyling per prendere le distanze dal neofascismo storico pur inglobandone i temi e arruolandone i seguaci. In questo senso il capolavoro riuscito è quello del Front National di Marine Le Pen (24% alle europee, primo partito in Francia) che ha le radici fra i nostalgici del regime di Vichy e gli ex coloni d’Algeria, ma adesso si racconta come forza-guida di una lotta «dal basso contro l’alto», conquistando ampi consensi in tutte le classi sociali. Manovra simmetrica e inversa rispetto a quella della Lega Nord, che dopo essere stata alleata di governo dei post-fascisti (handicap non da poco, rispetto al curriculum di opposizione del Front National), oggi si riqualifica paladina dei territori contro l’“invasione”e converge nelle piazze con i mussoliniani dichiarati di CasaPound. L’ultradestra occidentale in crescita di consensi si è liberata da retaggi imbarazzanti quali l’antisemitismo – che resta tuttavia sullo sfondo e nel retropensiero di tanta parte della “base”, attiva nei social network – e inoltre approva il governo israeliano.

Viceversa, l’estrema destra dell’Europa orientale non dissimula le nostalgie nazionalsocialiste. Il caso più recente riguarda la formazione ucraina Svoboda (Libertà) i cui militanti sono stati decisivi nella sommossa di Kiev che ha abbattuto il presidente filorusso. Comprimaria nel nuovo governo filo-occidentale con il vicepresidente e il ministro della Difesa, ridimensionata dal voto politico di un mese fa ma ancora in ballo nelle trattative per la costituenda compagine ministeriale, Svoboda dichiara di battersi contro la «mafia ebreo-moscovita» e onora come proprio eroe il collaborazionista Stepan Bandera che appoggiò i nazisti contro i russi. In generale, l’ultradestra est-europea – dalla Bulgaria alle repubbliche baltiche – celebra i vari «Quisling» che aiutarono i tedeschi (anche nello sterminio degli ebrei) come combattenti per l’indipendenza nazionale contro i sovietici.

Per loro il pericolo attuale non è l’Europa dei banchieri, ma l’ingerenza della vicina Russia. Una parziale eccezione è costituita dall’Ungheria, dove lo Jobbik o Movimento per l’Ungheria migliore (15% alle europee, secondo partito del paese) pur essendo all’opposizione fiancheggia il premier di destra Orban nelle sue politiche autoritarie, antieuropeiste e di apertura verso Putin. La destra di Budapest non teme il nazionalismo russo che si proietta esclusivamente sui paesi slavi; anzi, sogna a sua volta la «Grande Ungheria» che dovrebbe includere le minoranze magiare di Romania, Serbia, Slovacchia. Già legato alla disciolta formazione paramilitare della Guardia Magiara, Jobbik dimentica il sostegno dato dalle Frecce uncinate ungheresi all’Olocausto nazista e chiede che invece siano gli ebrei magiari a scusarsi per le vittime della rivoluzione comunista di Bela Kun nel 1919, appoggiata dagli ebrei stessi.

Ma ciò che accomuna tutta l’estrema destra europea, dalla Danimarca all’Austria, dalla Grecia alla Finlandia, è il richiamo a valori tradizionalisti declinati secondo una malintesa identità dell’Occidente cristiano; ed è soprattutto la visione apocalittica del fenomeno migratorio, l’ostilità contro stranieri e immigrati in quanto tali, in nome dell’integrità delle culture nazionali-locali e di una gerarchia dei bisogni sociali che dà la priorità ai nativi. Al razzismo biologico del XX secolo – bianchi contro neri, ariani contro semiti – è subentrato un razzismo etnico-culturale, che teme più d’ogni cosa il «multiculturalismo»: sinonimo odiato, un tempo, di marxismo ed ebraismo, equivalente oggi di integrazione, di tolleranza verso i Rom e specialmente verso gli immigrati di fede musulmana. L’islamofobia è il dato emergente – già in auge dopo l’11 settembre, rilanciato ora come reazione agli eccidi dell’Isis – tanto più preoccupante in quanto, se l’ultradestra ne è il portabandiera, l’opinione pubblica se ne mostra comunque largamente permeabile.

Ma qui non c’entra la legittima critica all’islamismo politico come esperienza storicamente determinata. Ciò che si demonizza è la presunta “essenza” immutabile dell’Islam, per cui il musulmano è sempre un potenziale terrorista e uno che comunque non potrà mai integrarsi nella “nostra” civiltà; si cede al pregiudizio e si perde il valore del dialogo, della relazione come cambiamento reciproco. Si perde anche la fede umanistica nella solidarietà fra lavoratori, quantunque di diversissima condizione, e nella scuola, che possono trasformare gli esseri umani, avvicinarli al di là di nazionalità e religione. Nascono le cosiddette guerre fra poveri, quasi mai spontanee, innescate da agitatori politici che strumentalizzano il disagio sociale.

Pasquale Martino – membro del direttivo Provinciale dell’Anpi (articolo su Gazzettino del mezzogiorno)

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Ritratti e sbadataggini

Corneliu Zelea Codreanu, leader rumeno nazionalista, 1899-1938, antisemita, capo di molti movimenti violenti. Il ritratto di quel signore, noto ideologo della destra estrema, campeggia dietro le spalle della neoletta Chiara Colosimo. La giovane amministratrice e vice-capogruppo si è subito difesa sostenendo un sostanziale antifascismo (!). Ovviamente la cosa è molto credibile, se proviene da una persona che ha militato tra le formazioni della nuova destra estrema italiana, da una persona intervistata nella “ex” sede del MSI a Roma. La ragazza si è difesa, imputando la casualità del ritratto del Codreanu ad una sua sbadata svista personale. La presenza dell’effige di quel personaggio ha fatto giustamente preoccupare il Capo della comunità ebraica di Roma, anche in vista del crescente successo in Ungheria, Romania e Grecia di movimenti ispirati al suo “pensiero”. Questo Codreanu, soprattutto per quanto riguarda la sfera della religione, sarebbe il trait d’union tra le destre sempre più organizzate dell’Europa orientale e la destra estrema italiana, ragion per cui bisogna tenere d’occhio attentamente ogni suo revaival (sarebbe interessante studiare il cristianesimo violento e preconciliare di quel personaggio). Nella fotografia il leader romeno appare dipinto assieme al simbolo della guardia di ferro e ad una scritta a tratti intellegibile, il cui significato è, sotto sotto, “boia chi molla”. Fidandosi sulla “buona fede” dell’ex cubista, ex militante di Azione giovani si può anche credere che la ragazza, “laureanda in scienze politiche”, fosse all’oscuro del personaggio, ma tutto il contorno rimane… Rimane una destra violenta sempre meno controllata e sempre più forte, soprattutto in contesti di chiaro disagio socio-economico.
Questo un ulteriore scandalo che colpisce l’amministrazione della Regione Lazio, una nota a margine di una situazione sempre più paradossale e assurda.

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